Roberto Saviano ha parlato di ristorazione malavitosa e ci ha detto che non è una cosa lontana. Non è una cosa di altri tempi e di altri luoghi. È di adesso, accanto a noi. Con un esercito di 20.000 addetti. Qualcosa del genere era già uscita qualche mese fa in un lungo estivo articolo su Repubblica. Già allora ero impallidito. Vai, adesso scoppia un terremoto. Poi niente, tutto è continuato sereno e tranquillo. Il “io non vedo, non sento, non parlo” è riapparso in superficie come al solito, come il peggiore degli inquinamenti.

Vi è una famiglia di ristoratori di un mercato lontano da me, lontano dalla mia città, che serve cibi gustosi nella loro buona semplicità. Vivono di quel che fanno e lavorano come matti per accontentare clienti a prezzi popolarissimi. Mi raccontavano, padre figlio e nuora, che avevano affrontato la crisi mantenendo tre stipendi ai tre dipendenti che lavorano con loro. Saltando loro qualche mensilità, non aumentando i prezzi, aprendo mezz’ora prima e chiudendo mezz’ora dopo. Tutto filava liscio. Di crisi ne avevano conosciute tante, fanno quel che fanno da quarant’anni e tutto sommato erano contenti. Poi un loro amico ristoratore nelle immediate vicinanze ha cominciato ad andare malissimo e ha venduto non si sa come e non si sa a chi. È sparito. C’è chi giura che aveva accettato un pagamento in contanti e che non è riuscito nemmeno a riscuoterlo tutto. Al suo posto sono arrivati altri. Gentili e cortesi: buona pasta, buona pizza e qualche piccola accortezza. Gente capace, che sa accogliere. Con prezzi da sottocosto: un menù completo a 9 euro.

Ora i miei amici ristoratori piangono, seriamente piangono. Venderanno? Forse, sperano perché per loro quella concorrenza è conclusiva.

Vi è un mio collega stellatissimo di una regione che non ricordo più se a sud o a nord di Roma che non ce la fa più. La crisi l’ha fiaccato e poi è arrivato quel “maledetto albergo” che avrebbe dovuto mandargli clienti. E invece è arrivata quell’improbabile gestione che ha prodotto solamente un quasi fallimento. Comprato poi non si sa come non si sa da chi ma con un buon ufficio stampa e tanti giornalisti che facevano su e giù dalla bella vista a mare alla terrazza. Aragostine a profusione con qualche piatto ridicolizzato da qualche ridicolo estetismo. Ormai si sa. Da anni chi più ne ha più ne mette di ridicolezze e via, con la stampa compiacente che straparla di maccheroni torreggianti in una verticalità innaturale per un pubblico da abbindolare. Nel segreto delle loro trattative ben altro si mangiava, ben altro si consumava.

Si consuma questo paese, una parte viva di questo paese, e intanto tutti si va zitti alla festa dell’oggi qui domani lì a far finta di niente, dove non si può più nemmeno parlare di quanto è buona la pasta al dente. Ed invece io solo di condotte alimentari, giuro, voglio parlare.

Non vi preoccupate, sono matto e frequento matti, racconto sciocchezze in un perenne mio personale carnevale dove ogni scherzo vale, assolutamente di fantasia, e aspetto che non mi si faccia del male. Ho 50 stipendi a cui badare. Giornalisti? Quei simpaticoni. Saviano? Non lo so, ancora non l’ho visto mangiare. Falcone? Sì, l’ho avuto ospite, lo ricordo come fosse ieri con la sua faccia seria, molto seria, di uno che sapeva: ma anche lui non l’hanno fatto parlare…

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