Sono iniziate le operazioni per riportare in superficie i 33 minatori intrappolati a 625 metri di profondità da 69 giorni nel sottosuolo.
Segui la diretta del salvataggio in streaming.

da San Jose, Anna Vullo

Fuori! È mezzanotte e cinque, le 5 del mattino in Italia, quando le viscere della miniera di San José restituiscono alla superficie il primo dei 33 minatori sepolti vivi dal 5 agosto scorso. Florencio Avalos, 31 anni, abbraccia il piccolo Bairon di 8 anni, suo figlio, poi stringe a lungo la moglie Monica. Dall’accampamento Esperanza si levano applausi e grida di gioia, i genitori di Florencio, Alfonso e Maria, piangono e ridono tenendosi per mano, molti giornalisti si commuovono. È un’emozione fortissima. dopo un’interminabile giornata di attesa.

“Un miracolo”, ripete quasi in trance Javier Soto, un pastore evangelista che da due mesi dorme in una tenda tra le dune di San José. “Ancora la cabala”, commenta una signora tra il pubblico che segue il salvataggio da un maxischermo collocato fuori dal refettorio. Florencio Avalos è tornato in superficie il 13-10-10, la cui somma dà come risultato 33. “La perforatrice ha raggiunto il rifugio dopo 33 giorni”, aggiunge la donna. “E i minatori sono 33 come l’età di Cristo”.

Sulla piattaforma da cui parte la carrucola che trascina la capsula in superficie ci sono anche il presidente cileno Sebastian Piñera e la moglie Cecilia, il ministro delle Miniere Laurence Golborne e quello della Salute Jaime Mañalich. L’euforia contagia tutti, politici e soccorritori si complimentano l’uno con l’altro per quella che passerà alla storia come la più straordinaria operazione di salvataggio mai realizzata. Un’eccellente equipe tecnica – quasi 500 persone – e un apparato tecnologico che ha permesso di seguire in tempo reale tutte le fasi dei soccorsi, dal momento in cui la capsula ha raggiunto le viscere della miniera fino a quando il primo minatore, indossata una speciale tuta e occhiali scuri per proteggere la vista dopo oltre due mesi nella penombra, ha raggiunto la superficie.

Tra mezzanotte e le tre e venti del mattino altri tre minatori rivedono il cielo del deserto di Atacama: Mario Sepulveda, Juan Illanes e Carlos Mamani, boliviano, l’unico straniero del gruppo.

Sembrano tutti in buone condizioni fisiche anche se dovranno comunque restare in osservazione 48 ore all’ospedale di Copiapò, il Paese in cui vive la gran parte dei minatori, per sottoporsi a una serie di accertamenti.

Sepulveda, “regista” dei primi video girati all’interno della miniera, scende dalla capsula con una borsa gialla a tracolla piena di pietre. Souvenir della miniera che distribuisce ai presenti, suscitando l’ilarità generale. Poi corre verso i colleghi e i tecnici schierati dietro una transenna e li incita a intonare il grido che ha accompagnato le giornate dei familiari in queste ultime settimane: “Chi-chi-chi le-le-le, los mineros de Chile!”. Si butta tra le braccia di Piñera, ha una battuta per tutti, sembra il giullare di uno show televisivo. “Signora, cosa posso dirle dopo 70 giorni sotto terra?”, scherza con la primera dama.

Juan Illanes e Carlos Mamani si limitano a ringraziare e ad abbracciare le mogli e i soccorritori prima di affidarsi alle cure dei paramedici che li trasportano in ospedale. Mamani lavorava a San José solo da cinque giorni quando parte della miniera è crollata intrappolando i 33.

Il prossimo a rivedere la luce è Jimmy Sanchez, 19 anni, il più giovane del gruppo, padre di una bambina di pochi mesi. Pochi giorni prima del crollo Jimmy aveva confidato alla fidanzata Hellen di avere un presentimento: la miniera faceva strani rumori, dappertutto piovevano pietre. I segnali di una tragedia annunciata.

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