Si fa un gran parlare di un possibile ritorno alle elezioni. E l’angoscia, sale. Indipendentemente dalla legge elettorale – anche, ammettendo per ipotesi assurda, che la cambiassero – il rischio di un’ulteriore vittoria di Berlusconi è reale e tangibile.

Forse il gioco delle alleanze potrebbe indebolirlo, ma alla fine tutti si ricompatterebbero intorno al tavolo degli interessi personali, e in fatto d’interessi – non solo da difendere ma anche da offrire – il padrone di Arcore non è secondo a nessuno.

Nonostante questo, a tempo perso m’immagino la famigerata campagna elettorale, tra Berlusconi e Bersani. L’esito – ahimé – mi appare sempre e subito scontato. Per mille ragioni, tra cui una, che mi riguarda da vicino.

Per la capacità di Berlusconi, rispetto a Bersani, di usare la narrazione orale come mezzo privilegiato di comunicazione.

Va premesso che Berlusconi è un narratore, mentre Bersani no. Ma non solo. Berlusconi è anche un narratore orale, il che gli regala un vantaggio notevole in tempi di conflitto di interessi sull’informazione televisiva.

Internet sta arrivando, ma ancora arranca, anche se la distanza rispetto alla capacità della televisione di spostare grandi masse si va accorciando.
Ora, tornando a noi, che significa essere un narratore orale? Innanzitutto, essere un narratore, quindi comunicare usando comunque moduli interattivi costruiti secondo le regole della narrazione: sequenza logico-temporale, ambientazione, individuazione del protagonista e dell’antagonista, eventualmente degli alleati e dei traditori, dell’obiettivo, del conflitto, del tema. Ne abbiamo già parlato, la “piccola narrazione berlusconina” rimane stancamente la medesima: Berlusconi che è sceso in politica per difendere gli interessi della Libertà e della Democrazia da una Sinistra Comunista Mangiabambini incarnata oltre che dall’Opposizione Parlamentare anche dalla Magistratura Rossa.

Ma le stesse tecniche narrative sono state usate anche nella costruzione del personaggio-Berlusconi. Per rendere l’Eroe più empatico (il Protagonista di una narrazione si chiama sempre Eroe, n.d.A.), Berlusconi si è costruito un duro passato da self-made-man, da uomo che si è fatto da solo, e che a costo di costante lavoro e sacrifici si è conquistato il successo. Un successo che viene solo postulato, attenzione, ma mai esibito. Perché ostentarlo significherebbe renderlo odioso a un popolo di disoccupati, precari e cassaintegrati. Non solo. Sempre per aumentare il fattore empatia (che è fondamentale per decidere di votare o meno un leader) si è scelto di non nascondere ma di esibire i suoi vizi abbassandoli così a vezzi (dalla vanità, all’amore per le donne, alla tendenza truffaldina che, in fondo, abbiamo un po’ tutti viste le tasse assurde che il Governo ci impone di pagare). Il vero tocco da maestro è stato, però, l’uso ambiguo e alternato del registro comico e di quello litanico, che lo trasforma in meno di un secondo da raccontatore indomito di barzellette a lamentatore di professione affranto dal troppo lavoro, da ministri dispotici, dalle maglie anguste di una costituzione obsoleta.

Insomma, Berlusconi è umano, troppo umano, pertanto è (se non simpatico) almeno empatico: capace cioè di suscitare immedesimazione, perché è impossibile non ritrovarsi in uno almeno dei suoi difetti.

Ma si diceva, che Berlusconi è un narratore orale, quindi con un valore aggiunto. Perché il narratore orale presuppone un pubblico reale, di conseguenza narra tenendo sotto controllo il polso delle emozioni e sensazioni che sta suscitando in chi lo ascolta, come un sarto costretto a improvvisare in diretta taglia, cuce, incolla finché non ottiene l’effetto desiderato: l’applauso, la risata, l’urlo indignato. Di più, il narratore orale, fa di tutto per accorciare le distanze e cercare una connessione. Il narratore orale è la figura di narratore che, più di ogni altra, incarna la funzione relazionale della narrazione: quella di farsi riconoscere, di veder certificata la propria identità, di essere accolti, di avere di fronte qualcuno che ti accetta, di condividere con qualcun altro il proprio mondo. Sbaglia chi pensa che Berlusconi sia soltanto un grande venditore di aspirapolveri: è piuttosto un narratore orale che cerca disperatamente qualcuno con cui stabilire un contatto profondo, emotivo, viscerale.

Perché narrare di fronte a un pubblico che ti segue è essere riconosciuti, uscire dall’anonimato, avere esorcizzato per un istante la Morte.

Per questo Berlusconi vincerebbe ancora, a confronto con Bersani, perché Berlusconi tutto questo ce l’ha nel sangue mentre Bersani no. Perché, per le ragioni di cui sopra, di fronte a un uditorio Berlusconi avrà sempre a cuore la sorte dei suoi ascoltatori. Non li lascerà mai per strada. Non apparirà mai annoiato o perplesso o fuori luogo. Dalla loro reazione dipende infatti la sua possibilità o meno di sentirsi riconosciuto, accettato, amato e non soltanto su un piano politico, ma anche propriamente narrativo e pertanto in qualche modo umano.

Bersani, d’altro canto, non possiede nessuna di queste qualità. Più che narrare oralmente, Bersani sembra narrare per iscritto. Non presupponendo cioè davanti a sé un lettore concreto ma immaginando nella sua mente un lettore astratto. Forse scrivere andrebbe ancora bene, se non fosse che Bersani non pare neanche scrivere lettere direttamente agli elettori, magari in un aulico linguaggio vagamente arcadico come fa Vendola, ma scrivere invece pezzi di diario, ragionamenti solipsistici, stralci di discorsi comiziali. E pure da una distanza siderale. Da un qualche remoto rifugio montano in cui, seduto nella veranda mentre si fuma una buona pipa, rimugina su come migliorare le condizioni italiche.

Inoltre Berlusconi, come tutti i narratori, è sempre concreto, contingente, particolareggiato: togliere questa tassa, fare questo inceneritore, sconfiggere il cancro in tre anni. Bersani è al contrario fumoso, lacunoso, ineffabile: usa categorie astratte, macroscopiche, intraducibili nella realtà quotidiana.

Un’ultima fondamentale e definitiva differenza: Bersani è normativo, Berlusconi è permissivo o, quando lo tengono a freno, possibilista. Del resto, i narratori sono stimolati proprio dalle infrazioni alle norme, perché è dalle trasgressioni che nascono le storie migliori. Ma, come ci ricorda un grande scrittore per ragazzi inglese, Philip Pullman: “Non devi è presto dimenticato, c’era una volta durerà per sempre.”

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