La lotta per la sopravvivenza nel marasma della riforma finanziaria non è ancora cominciata, ma per le major statunitensi è già tempo di organizzare l’offensiva. Banche e società si preparano a duellare con gli organismi di controllo attuando una strategia consolidata: schierare in via preventiva un nutrito esercito di lobbisti. Ma quelli scelti dai giganti di Wall Street non sono professionisti qualsiasi. Sono in gran parte ex regolatori che, dopo anni trascorsi nelle file delle agenzie di controllo, hanno scelto ora di passare al “nemico” attirati dai milioni e dalle prospettive di carriera. L’obiettivo? Affossare le riforme, naturalmente

A rivelare i dettagli del fenomeno è una ricerca realizzata dal Center for Responsive Politics (Crp), un’organizzazione indipendente di Washington che da più di un quarto di secolo viviseziona periodicamente i flussi di denaro e le attività dei gruppi di pressione attivi nel Paese. Su richiesta del New York Times, il Crp ha spulciato gli ultimi dati disponibili scoprendo una verità per certi versi sorprendente: dei circa 500 dipendenti federali che negli ultimi tempi hanno abbandonato le agenzie di controllo per passare al settore privato, ben 148 si sono registrati come lobbisti. Un autentico record, decisamente al passo con i tempi.

La strategia delle società finanziarie è ormai chiara. La riforma dei mercati è legge ma la vera battaglia deve ancora essere combattuta. Il programma firmato lo scorso 21 luglio da Barack Obama prevede infatti un’ampia delega del potere decisionale alle agenzie di controllo. A fronte di principi prestabiliti, in altre parole, saranno proprio gli organi di vigilanza a dover implementare regole precise chiamate a dirimere questioni complesse come il mercato dei derivati o i limiti ai bonus manageriali. Gli operatori finanziari ne sono consapevoli, per questo hanno già iniziato ad aggiustare il tiro puntando direttamente al bersaglio giusto. Una sorta di attacco al cuore della regolamentazione.

Ma perché puntare sugli ex regolatori? Da un lato c’è la forza dell’esperienza, la stessa, per fare un esempio, che consente agli hacker pentiti di trasformarsi in efficaci combattenti nella lotta alle frodi informatiche. La conoscenza del nemico e l’abilità nel districarsi tra burocrazia e consuetudini, tuttavia, non rappresenta l’unica risorsa. Gli ex dipendenti, a quanto pare, avrebbero sviluppato un forte ascendente sulle agenzie di controllo dove conserverebbero amici ed estimatori importanti. “Se così non fosse non potrei giustificare le mostruose parcelle che presentiamo ai nostri clienti” ha dichiarato un neo lobbista al New York Times dietro l’inevitabile garanzia dell’anonimato.

La guerra può dunque incominciare e nessuno dubita che sarà lunga e intensa. Secondo la società legale Davis Polk, i grandi enti nazionali come la Sec, la Commodity Futures Trading Commission, la Federal Reserve e i nuovi organi di vigilanza creati dal Congresso (il Consumer Financial Protection Bureau e il Financial Stability Oversight Council) saranno chiamati a definire almeno 243 nuove regole e a condurre qualcosa come 67 studi per permettere alla riforma di entrare efficacemente in vigore. In attesa di fronteggiare questo lavoro immane, le agenzie si sono già dette favorevoli a un dibattito capace di essere il più ampio possibile. I lobbisti, manco a dirlo, non potevano chiedere di meglio.

Articolo Precedente

Sprechi di Stato: il caso Siae

next
Articolo Successivo

Le aziende europee e i diritti umani in Colombia

next