Sono sincera, per un attimo ci avevo creduto. L’altro ieri, nel continuo monitoraggio della tragedia che stanno vivendo le 245 persone di origine eritrea e somala rinchiuse nelle carceri libiche di Brak, avevo cominciato a leggere con speranza il comunicato del ministro Maroni nel quale si dichiarava risolta la situazione. Confidavo che almeno questa volta il governo si sarebbe assunto la responsabilità di porre rimedio ad una violazione dei diritti umani di cui è, neanche troppo indirettamente, responsabile. E invece più scorrevo il comunicato, più la rabbia cresceva. Ancora una volta, l’ennesima, Berlusconi & co. trasformano la tragedia in propaganda, riuscendo a farlo senza risolvere minimamente la situazione. Anzi, aggravandola. Perché adesso la mia personale preoccupazione è che una parte dell’opinione pubblica, con la coscienza sollevata dal sapere concluso con lieto fine questo “equivoco” (così lo ha definito il Governo nel question time del 7 luglio), si scordi di quelle 245 vite in bilico in pieno deserto del Sahara.

Il passaggio dalle carceri ai campi di lavoro non mi sembra una soluzione geniale per chi conosce un minimo il regime libico. Basti sapere che la Libia si rifiuta di sottoscrivere la Convenzione ONU sui rifugiati del 1951, il testo base che garantisce il rispetto dei diritti umani e la tutela di chi è costretto a fuggire dal proprio paese. Va da sé che quando uno Stato si rifiuta di sottoscrivere una convenzione sui diritti umani di tale portata significa che ha intenzione di violarli; cosa che purtroppo si verifica quotidianamente in Libia. Lo dimostra la chiusura imposta dalle autorità libiche della sede UNHCR di Tripoli e la dichiarazione dell’Alto Commissario ONU per i rifugiati Gutierrez il quale, rispondendo ad una mia domanda durante l’audizione al Parlamento Europeo, ha confermato di avere ridottissima capacità d’azione in Libia poiché non è riconosciuta la sua autorità. La Libia infatti “concede” all’UNHCR di essere presente, ma decidendo di fatto su quali casi può intervenire e con quali modalità. Un paese nel quale la pena di morte viene usata in maniera massiccia, specie nei confronti di cittadini stranieri, e anche per reati legati al mero esercizio del diritto di espressione.

Ed è grazie ad un accordo con questo campione di democrazia che il governo italiano ha cercato la soluzione agli sbarchi di gente disperata, la maggior parte dotata dei requisiti per ottenere lo status di rifugiato. Un accordo, di cui alcuni passaggi non sono noti, che prevede di fatto il finanziamento del regime e del suo continuare a perpetrare violenza e morte, fornendo in cambio piena soddisfazione a quella parte tristemente ampia dell’elettorato del centro-destra del quale si accettano, addirittura incoraggiandole, le pulsioni xenofobe e razziste.

La questione libica è complessa e il caso dei 245 eritrei rappresenta solo un triste esempio di come quotidianamente in quella parte di Africa vengano calpestati i diritti umani. E ricordiamoci sempre che l’Italia di tutto questo è la principale responsabile. Il monito lanciato da Frattini e Maroni all’UE di impegnarsi troppo poco è a mio modo di vedere giustificato, anche se non nel senso da loro richiamato. L’Unione Europea, a tutela dei suoi valori fondanti espressi nel trattato di Lisbona, dovrebbe infatti essere ben più intransigente col governo italiano, domandargli conto e ragione dell’accordo con la Libia. La risoluzione adottata dal Parlamento Europeo il 17 giugno, di cui mi sono personalmente occupata, afferma che “qualunque cooperazione o accordo tra l’UE e la Libia deve essere subordinata alla ratifica e all’attuazione, da parte della Libia, della Convenzione di Ginevra sui rifugiati e delle altre principali convenzioni e protocolli sui diritti umani”. Inoltre, sempre con la medesima risoluzione, si invitano gli Stati membri a non rinviare immigrati in Libia a causa del “serio rischio che la persona interessata possa essere sottoposta alla pena di morte, alla tortura o ad altre pene o trattamenti inumani o degradanti”. Purtroppo gli eurodeputati del PDL e della Lega, attraverso i proprio gruppi, sono riusciti a togliere dalla risoluzione il richiamo esplicito all’Italia ma non hanno potuto opporsi all’approvazione del testo. Anche la Commissione ha avviato trattative per accordi con la Libia ma le trattative vanno a rilento proprio a causa delle ripetute violazioni di diritti umani.

Ho già proposto per ben quattro volte durante le riunioni di Strasburgo la questione libica, le ultime due la scorsa settimana durante la presentazione del semestre di presidenza belga ed in presenza di Barroso, presidente della Commissione. Un’Unione Europea forte e ambiziosa deve pretendere risposte immediate dall’Italia e chiarire se è accettabile che il metodo per risolvere la questione immigrazione debba essere quello di utilizzare la violenza di un regime su poveri indifesi, finanziandolo e girando la testa dall’altra parte rispetto al suo calpestare i diritti fondamentali dell’uomo.

Quell’accordo va annullato perché i suoi risultati sono quelle immagini truci, di vite spente in pieno deserto, senza pietà, senza dignità umana. La dignità non di chi è morto in quella maniera, ma di chi coloro che vivono accettando di essere correi silenziosi e indifferenti.

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