«E’ piuttosto divertente. Incontro ogni genere di persone interessanti e loro mi pagano per cenare con loro». Edward Hugh ha 61 anni, da venti ha lasciato la Gran Bretagna con destinazione Catalogna e per tutta la vita ha condotto un’esistenza tranquilla lontana dai riflettori. Eppure, potenza della eurocrisi, è divenuto negli ultimi tempi un’autentica celebrità e, suo malgrado, un corteggiatissimo guru di mercato.

La storia, incredibile ma non troppo, l’ha rivelata il New York Times, arricchendo così la sempre più ridondante aneddotica della crisi. Una vicenda, quella di Hugh, che prende il via meno di dieci anni fa quando l’Europa celebra l’avvio dell’euro in un clima di crescente fiducia. Sono gli anni del consolidamento della valuta europea ma anche della grande corsa delle economie più dinamiche del continente. Dalla Spagna all’Irlanda fino alle nuove economie dell’Est (che già pensano alla futura adesione valutaria) sono tanti in Europa a credere nel mito del super euro. Tra questi non c’è però questo ex allievo della London School of Economics: troppa eterogeneità, argomenta, in questa Unione chiamata a fronteggiare debiti pregressi e rischi futuri. Popoli che invecchiano e risparmiano da una parte, nazioni che vedono scendere l’età media ed innalzarsi la domanda (e l’offerta) di credito dall’altra. Per questo emigrante di Liverpool i contrasti sono già evidenti e i rischi bolla ampiamente dietro l’angolo. Secondo lui la moneta unica non ha futuro e poco importa che espressioni come “euroscetticismo” appaiano ai più come intollerabili bestemmie.

Hugh non si scompone e tira dritto per la sua strada. Ma non è un analista di professione, non collabora con le istituzioni accademiche e si guadagna da vivere come insegnante part time. Così, quando decide di affidare a un blog le proprie perplessità nessuno, comprensibilmente, prova a dargli retta. Ma la storia, si sa, può cambiare rapidamente. Soprattutto in tempi di crisi. Oggi Hugh è uno degli analisti più corteggiati del Continente. Bradford De Long, stimatissimo docente di Berkeley ed ex collaboratore dell’amministrazione Clinton, ammette di leggere con attenzione il suo blog, il profeta della crisi Nouriel Roubini lo avrebbe già invitato ad unirsi al suo staff e persino il Fondo Monetario Internazionale gli avrebbe recentemente chiesto di fare un salto a Madrid per offrire ai propri analisti un’opinione qualificata sui guai della nazione iberica.

Dal più oscuro anonimato, insomma, siamo ormai giunti alla conclamata celebrità. E se a muoversi per ottenere un buon consiglio sono anche i grandi speculatori (tra cui Michael Milken, il noto truffatore Usa che negli anni ’80 guidò l’offensiva delle obbligazioni spazzatura) significa che il nostro eroe, manco fosse John Paulson o George Soros, è ormai entrato di diritto nel club dei “noti infallibili”. Rischi default, attacchi speculativi e maxi salvataggi gli hanno garantito popolarità e rispetto ma non l’arricchimento. Questione di scelta. Hugh rifiuta regolarmente gli assegni generosi offerti dagli hedge (nonché quello da tremila dollari consegnato di Milken e girato, pare, a un amico in difficoltà) e si accontenta di fare quello che da anni gli riesce meglio. Ad analisti e squali non resta che cercare l’illuminazione tra le pagine del suo blog e i post del suo social network. I suoi pensieri, per adesso, restano accessibili e gratuiti. In tempi di crisi davvero non è poco.

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