Abruzzo - Le manovre attorno al dibattimento sulla discarica ex Montedison

Discarica di Bussi, “tre milioni per comprare la sentenza che li manderà tutti assolti”

La confidenza attribuita dall'avvocato dello Stato al governatore D’Alfonso, che nega. Riunioni e cene a ridosso del verdetto tra chi sapeva come sarebbe andata a finire

9 Dicembre 2016

“Circolano 3 milioni di euro per la sentenza del processo Bussi. Me lo ha detto Luciano D’Alfonso”. Era il 4 dicembre 2014 quando l’avvocata dello Stato Cristina Gerardis – oggi direttore generale della Regione Abruzzo, voluta proprio dal governatore D’Alfonso – espresse questo concetto, durante a cena dinanzi a parecchi testimoni. E sono proprio i testimoni a raccontarlo. Mancavano 15 giorni all’ultima udienza, quella che assolse 19 ex dirigenti Montedison dall’accusa più grave, l’avvelenamento delle acque, e derubricò da doloso a colposo il reato di disastro ambientale, consentendo loro di accedere alla prescrizione.

Il processo per l’inquinamento prodotto dalla più grande discarica abusiva d’Europa si risolse senza alcuna condanna. Poi, dal 13 maggio 2015 il Fatto pubblicò un’inchiesta a puntate, rivelando che prima della sentenza le giudici popolari furono avvertite, durante una cena, dal presidente della corte d’assise Camillo Romandini, che se avessero condannato per dolo, e poi i dirigenti fossero stati assolti in appello, avrebbero rischiato di dover risarcire di tasca propria i danni agli imputati. Il Fatto rivelò anche che D’Alfonso era al corrente di alcune anomalie, relative al processo, ben prima della sentenza. Dopo la pubblicazione di questi articoli, la Procura di Campobasso aprì un fascicolo d’indagine per verificare se il togato Camillo Romandini avesse esercitato indebite pressioni sulle giudici popolari e – a carico di ignoti – fu anche vagliata l’ipotesi di una eventuale corruzione. Tutto archiviato circa un anno fa. Stralci della richiesta di archiviazione, firmata dalla Procura di Campobasso, sono stati pubblicati in esclusiva nei giorni scorsi dal quotidiano abruzzese Il Centro.

Sentito dai pm molisani, però, D’Alfonso non ha mai accennato alla vicenda dei tre milioni. Né risulta che ne abbia mai parlato con i pm che rappresentavano l’accusa nel processo di Chieti e con i quali, prima della sentenza, ebbe un colloquio. Dinanzi ai pm abruzzesi Giuseppe Bellelli e Anna Rita Mantini, presente anche un terzo pm, Giuseppe Di Florio, D’Alfonso – che in qualità di governatore era parte civile nel processo per il disastro ambientale – spiegò di aver saputo da Romandini, durante una cena consumata con il giudice, che quest’ultimo aveva particolarmente apprezzato la difesa della Montedison.

Non sappiamo da chi abbia appreso la notizia dei tre milioni di euro, sappiamo però che dalla Procura di Pescara, arriva un secco no: non fece alcun cenno alla vicenda. Abbiamo chiesto direttamente a D’Alfonso di confermare o smentire la notizia: “Ricorda di aver parlato a Gerardis della vicenda dei 3 milioni destinati alla giuria?”. La risposta è perentoria: “Oltre la smentita!”, ci scrive D’Alfonso in un sms, “si guadagnerà un fruttuoso contenzioso civile!”. Abbiamo inutilmente provato a contattare l’avvocato Gerardis. Ma abbiamo raccolto la testimonianza di chi era presente alla cena.

Nel pomeriggio di giovedì 4 dicembre 2014, in uno studio legale di Roma, sono presenti parecchi avvocati tra i quali Luca Santa Maria, Patrizia di Fulvio e la stessa Cristina Gerardis. Intorno alle 16.30 arrivano in studio i pm Bellelli e Mantini che secondo i testimoni, con aria davvero preoccupata, sostengono che ormai non c’è nulla da fare, è stato già tutto deciso, la sentenza nei fatti è già stata scritta. Quando viene chiesto loro da chi abbiano avuto queste informazioni, però, i pm non rivelano la fonte. La Gerardis chiede: “È una persona più importante del ministro di Giustizia?”, ottenendo una risposta affermativa.

Il racconto dei testimoni converge su un punto: i due pm erano preoccupatissimi. Al punto da sostenere con una battuta che ormai, nei fatti, era persino inutile continuare a lavorare per l’udienza successiva. Il pm Bellelli conferma di essere stato a Roma in quei giorni, di aver incontrato gli avvocati ma smentisce il resto della ricostruzione. La pm Mantini non ricorda l’episodio definisce assolutamente sbagliata la ricostruzione. Anche in questo caso due versioni contrastanti. Anche in questo caso, degli episodi in questione, negli atti dell’inchiesta molisana non v’è alcuna traccia.

Resta il fatto che il 4 dicembre gli avvocati, ovviamente senza i pm, cenano insieme al ristorante dell’hotel De Russie per festeggiare il compleanno di Santa Maria. Ed è lì che Gerardis, riprendendo l’argomento – smentito, ricordiamo, dai pm – parla dei 3 milioni di euro e delle confidenze ricevute dal governatore D’Alfonso. Neanche la Gerardis, sentita a Campobasso, ha parlato della cena e dei 3 milioni di euro. E non si tratta della prima volta che tra avvocati delle parti civili si accenna a passaggi di soldi legati alla sentenza. Pochi giorni prima, il 28 novembre, si verifica infatti un altro episodio.

Il 28 novembre 2014 è un venerdì e a Chieti si tiene una delle udienze del processo. Alle 13.40 c’è una pausa. E durante la pausa Patrizia di Fulvio scrive all’avvocato Luca Santa Maria – che assiste la Solvay, parte civile nel processo – un sms molto preoccupato. Si parla di corruzione, di tangenti, di soldi. Di Fulvio sostiene di aver appreso anche dalla Procura che stiano circolando soldi per condizionare il processo, circostanza confermata anche da Cristina Gerardis.

Il dato – anche questo smentito dai pm – è importante perché consente di fissare una data, il 28 novembre, rispetto alla voce che ipotizza la circolazione di mazzette legate al processo. Se non fosse una novità, infatti, Di Fulvio non scriverebbe questo messaggio allarmato a Santa Maria. E una settimana dopo durante una cena, si torna a discutere sia di soldi sia della sentenza, con l’aggiunta che, questa volta, a parlarne – di ben 3 milioni – sarebbe stato il presidente D’Alfonso. Che smentisce. Come i pm smentiscono gli avvocati. Che però – anche dinanzi alle smentite – annunciano che intendono confermare tutto in ogni sede.

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