Il documento del governo: “Il voto all’estero è truccato”

Dopo le Politiche 2013 la dirigente della Farnesina che si occupa del tema scrive a esecutivo e Colle: “Procedure incostituzionali: non garantite libertà e segretezza”

11 Novembre 2016

Con la lotta fra il Sì e No che si decide in volata, il verdetto sul referendum costituzionale italiano potrebbe essere decretato all’estero, per la precisione, dai 4 milioni e 23 mila italiani residenti fuori dai confini e iscritti all’apposita anagrafe. Il governo ha intuito subito l’importanza degli italiani all’estero: ministri e politici – l’apripista fu Maria Elena Boschi – omaggiano i connazionali e promettono finanziamenti.

Il verdetto referendario è appeso a un sistema “totalmente inadeguato, se non contrario ai fondamentali principi costituzionali che sanciscono che il voto sia personale, segreto e libero”, scrive l’ambasciatrice Cristina Ravaglia in un documento riservato del ministero degli Esteri che Il Fatto ha visionato.

Dopo una solida carriera diplomatica costruita negli uffici di Madrid, Varsavia, Buenos Aires e Monaco di Baviera, da quattro anni e con cinque ministri, Ravaglia è il direttore generale della Farnesina per gli italiani all’estero e le politiche migratorie. In sostanza: è il massimo conoscitore della legge Tremaglia, dei suoi limiti, trucchi, difetti. All’indomani delle elezioni Politiche del 2013, l’ambasciatrice Ravaglia firma un appunto per il ministro Giulio Terzi di Sant’Agata e denuncia “gli effetti potenzialmente distorsivi dell’impianto vigente”, ma propone anche degli interventi immediati per rafforzare i controlli (e magari allestire dei seggi). In copia, ci sono Presidenza della Repubblica e del Consiglio, più i sottosegretari Staffan de Mistura e Marta Dassù.

Il sistema elettorale per corrispondenza è disciplinato da una legge che porta il nome di Mirko Tremaglia, la numero 459 del 2001. Il bergamasco Tremaglia è scomparso un lustro fa, ministro nel governo di Silvio Berlusconi nel ’94, parlamentare di Alleanza Nazionale, volontario a Salò da minorenne. Il testo di Ravaglia, finora inedito, ruota attorno all’esperienza nel settore: “Come principale responsabile delle operazioni elettorali all’estero, mi corre l’obbligo di richiamare l’attenzione – nel superiore interesse dello Stato e della tutela di un diritto fondamentale – su modalità di attuazione che, ancora una volta, si sono dimostrate, alla prova dei fatti, tali da mettere a rischio gli imponenti sforzi messi in atto per assicurare un ordinato svolgimento del voto”. E poi l’accusa: “Quello per corrispondenza è soggetto, come evidente, a una serie di variabili e incertezze (quali l’affidamento ai sistemi postali locali, il pericolo di furti, incette, pressioni, compravendite, sostituzione del votante, ma non solo)”.

Il direttore generale fa riferimento anche all’affluenza ridotta (32 per cento) e all’elevata quantità di schede nulle (10 per cento).

Ravaglia non poteva sapere cos’è accaduto per il referendum sulle trivelle, ma aveva individuato il problema. Lo scorso aprile hanno votato 779.548 italiani all’estero, venti su cento, con l’8,6% di schede nulle contro lo 0,68 in Italia: occorre tanta fantasia e volontà per sporcare, in maniera fortuita o intenzionale, un foglio dov’è la scelta è fra Sì e No. La dettagliata relazione di Ravaglia, però, viene ignorata.

Il sistema è sempre più fragile e sempre più aggredito. Un rapido compendio. Come ha scoperto il senatore Roberto Calderoli, per il referendum sulle trivelle – dove il nemico era il quorum – la consegna delle schede era vietata in alcuni piccoli paesi, mentre stavolta il governo ha coinvolto i corrieri di aziende private. Per aumentare la platea dei votanti, il ministero degli Interni ha posticipato di un mese la scadenza per diventare elettori “temporanei” all’estero – cioè gli italiani che sono lontani da casa per motivi di studio, lavoro o cure mediche – e per il referendum sono già 31.462.

Oltre ai 150 milioni di euro stanziati nella legge di Stabilità, Matteo Renzi ha appena spedito una lettera – con lo stemma tricolore del comitato “Basta un sì”, un refuso a piè di pagina e una carrellata di fotografie al fianco di Merkel, Obama, Hollande e colleghi – proprio ai 4 milioni e 23 mila italiani chiamati a votare da domenica 20 novembre.

Il ministro Boschi ha precisato che la missiva del presidente arriverà “in contemporanea”, ma non “assieme” al plico per il voto. In effetti, allegare l’appello di “Basta un Sì” alla scheda elettorale sembrava eccessivo. Ma il Partito democratico, a differenza degli oppositori, è riuscito a ottenere l’elenco degli indirizzi e farà propaganda a domicilio senza chiedere il consenso.

Chissà, la privacy non conta per gli italiani all’estero. Ma di certo, per tornare all’ambasciatrice Ravaglia, conta proteggere i principi costituzionali. Il voto è personale, segreto e libero. Altrimenti non è valido.

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