Di Boschi e di riviera

6 Novembre 2016

Ma che dobbiamo fare con questa Boschi? A noi fa anche un po’ pena. Ed è per compassione che avevamo deciso di lasciarla stare per un po’, partecipi del dolore che deve provare da quando Renzi l’ha brutalmente scaricata, ritenendola una zavorra che fa perdere migliaia di voti al Sì appena apre bocca. L’altra sera, per esempio, è apparsa piuttosto nervosetta a Piazzapulita e ha iniziato a sproloquiare di governatori regionali “eletti con il ballottaggio”. Nessuno, per carità di patria, ha avuto cuore di domandarle: “A Mariae’, machestaiaddì?”. Nelle leggi elettorali delle Regioni, diversamente da quella dei Comuni, il ballottaggio non c’è, a parte la Toscana che dal 2015 lo prevede se nessun candidato raggiunge il 40% al primo turno. Ma nemmeno il governatore toscano Enrico Rossi è stato eletto al ballottaggio, perché lo scorso anno passò subito col 48% dei voti. Dunque non esistono presidenti di Regione eletti al ballottaggio. Avevamo deciso di sorvolare sull’ennesimo svarione della cosiddetta ministra delle Riforme, al pensiero che Maria Etruria Incoronata ha già tanti guai per conto suo, senza contare quelli di famiglia. Ma ieri l’ingrata ci ha provocato, profittando dello spazietto che incautamente Renzi le ha riservato alla Leopolda, dove inizialmente non voleva farla parlare per evitare guai peggiori, salvo poi cedere per evitare i soliti capricci e piazzate. La tapina, in evidente stato confusionale, ha trasmesso un video del sottoscritto, commentando spiritosa: “E così anche Travaglio è stato alla Leopolda…”. Le pazze risate.

Poi, per precauzione, ha preferito non replicare personalmente all’interlocutore assente, vedi mai che le scappasse detta qualche altra scemenza. E ha dato la parola a un professore, Cesare Pinelli, noto temerario: infatti, non contento di sedere accanto a una Boschi, si è avventurato in una dotta spiegazione del perché il Senato “riformato” dalla tapina non sarebbe un’assemblea di nominati. Mission impossible: nella Costituzione made in Boschi&Verdini i senatori non sono più eletti dai cittadini, ma nominati in parte (5) dal capo dello Stato e in parte (95) dai Consigli regionali fra consiglieri e sindaci (art. 57: “I Consigli regionali e i Consigli delle Province autonome di Trento e Bolzano eleggono, con metodo proporzionale, i senatori…”). Mentre l’illustre cattedratico smentiva la “riforma” Boschi, si sperava che l’autrice smentisse lui rivendicando l’idea geniale dei senatori nominati. Invece non l’ha fatto: forse perché se ne vergogna, forse perché non ha neppure letto la “riforma” che dice di avere scritto. Infatti ha citato una legge elettorale che esiste solo nella sua fertile fantasia.

Testuale: “Noi (noi chi? I ministri o i consiglieri regionali? Boh, ndr) terremo conto di quello che i cittadini sceglieranno quando eleggeranno i consiglieri regionali”. La sventurata non sa o non dice che questo è già improbabile per i consiglieri-senatori (10 Regioni su 20 ne avranno uno solo) ed è impossibile per i senatori del Quirinale né per i sindaci-senatori (salvo prevedere alle Comunali una scheda in cui l’elettore può scrivere “voglio che il mio sindaco diventi senatore”, così lo scriveranno tutti gli elettori di tutti e 8mila i comuni).

Ma la gag del duo comico destinato a soppiantare Gianni e Pinotto e i fratelli De Rege non finiva lì. Pinelli, la spalla: “Travaglio tutte le sere dice un sacco di stupidaggini sull’articolo 70”. Boschi, la capocomica: “Su questo sentiremo belle parole sul Fatto Quotidiano”. Ora, premesso che il Fatto è un quotidiano di carta, non una radio o un audiolibro, e al massimo le nostre parole si potranno leggere, non sentire, attendiamo fiduciosi di conoscere le nostre “stupidaggini” sull’art. 70. A meno che il De Rege maschio non si riferisse alle scemenze contenute nell’art. 70, che effettivamente siamo soliti declamare contribuendo alla loro diffusione. Si tratta dell’articolo che passa da 9 a 439 parole e dalla lingua italiana a un neo-idioma sincretista che mischia il sanscrito, l’ostrogoto, il fenicio, il sumero, l’aramaico e l’antico egizio, sempre – si capisce – per “semplificare”. Chi ne sia l’autore non è dato sapere, visto che ultimamente la stessa Boschi disconosce la maternità della sua “riforma”, facendone una figlia di madre ignota: “Se l’avessi scritta da sola, l’avrei fatta diversamente”. Non osiamo immaginare cosa avrebbe partorito se l’avessero lasciata sola, senza neppure l’ausilio di un Verdini: forse delle aste, magari delle X, più probabilmente delle nuvolette, delle casette e degli alberelli.

Quel che è certo è che nessun fautore del Sì s’è mai azzardato a spiegare il nuovo art.70 con parole sue, mentre i costituzionalisti si azzuffano sul numero dei nuovi sistemi di approvazione delle leggi da esso previsti: chi dice 7, chi 13, chi una decina. Bella semplificazione: il sistema attuale ne prevede due (uno per le leggi ordinarie, uno per quelle costituzionali). Maria Etruria Immacolata liquida il tutto in una slide: “5 minuti in più per leggerlo, 5 anni in meno per fare le leggi”. Che però – dati dell’Ufficio studi del Senato – non impiegano 5 anni per essere approvate, ma in media 53 giorni. A parte la jungla di conflitti che l’art.70 innescherà fra Camera e Senato, Parlamento e governo, governo e Regioni, Stato e Ue, qualcuno dovrà prima o poi avvertire la Boschi che il suo Senato alcune leggi varate dalla Camera dovrà rivotarle e tutte le altre potrà rivotarle e cambiarle su richiesta di 1/3 dei suoi membri: dunque, volendo, i senatori rivoteranno e cambieranno tutte le leggi approvate dalla Camera, che dovrà rivotarle una terza volta. Con tempi perlopiù identici agli attuali. L’altra sera, in tv, Maria Etruria Addolorata si era scagliata contro quanti la giudicano dalle sue scarpe. Prima o poi capirà che lo fanno per il suo bene.

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