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Consulta, dell’inchiesta Pd e M5S sapevano tutto

Indagine nota a dicembre: i dem se ne infischiarono, i 5Stelle cambiarono cavallo

Di Antonio Massari e Valeria Pacelli
5 Giugno 2016

L’inchiesta sui concorsi universitari, che vede indagato il giudice costituzionale Augusto Barbera per corruzione, non ha soltanto una valenza giudiziaria. L’aspetto politico che oggi il Fatto Quotidiano è in grado di rivelare, è se possibile ancor più grave. La professoressa Silvia Niccolai, proposta per la Consulta dal M5S, ritira la propria candidatura nell’ottobre 2015, quando riceve un avviso di garanzia per corruzione e falso in atto pubblico, nello stesso procedimento sui concorsi universitari che vede coinvolto Barbera.

Con una email inviata al capogruppo dei M5s, Danilo Toninelli, motiva la sua scelta spiegando di rinunciare alla candidatura per le indagini in corso. Quando il Pd decide di candidare Barbera, il professore avverte di essere coinvolto nell’inchiesta – pur non specificando, per quanto ha potuto ricostruire il Fatto, di essere indagato – e avvisa il capogruppo alla Camera, Ettore Rosato, che l’ipotesi di un avviso di garanzia è prossima e altamente probabile. Il M5S, che conosce l’esistenza dell’indagine, non è disposto a votare un indagato e, a quel punto, chiede a Rosato rassicurazioni sull’assenza di un avviso di garanzia a carico di Barbera. Rosato – che secondo la nostra ricostruzione era stato avvertito da Barbera – rassicura sul punto il collega dei Cinque Stelle. “Chiesi a Rosato se Barbera fosse indagato”, spiega Toninelli, “poiché non avremmo mai sostenuto la candidatura di una persona sotto inchiesta: Rosato mi rassicurò, sostenendo che il professore non era iscritto nel fascicolo”.

Ed ecco la versione di Rosato: “Il M5s vi chiese se Barbera fosse indagato – domandiamo –, voi cosa rispondeste?”. “Rispondemmo di sì, ma lo sapevano già, come tutti i lettori del Fatto e i giornalisti, visto che l’avevate già scritto”. In realtà, il Fatto non aveva scritto che Barbera era indagato, ma solo denunciato dalla Guardia di Finanza.

Sulla posizione della Niccolai, il suo legale, il professore Adelmo Manna precisa: “Per quanto riguarda il merito dell’inchiesta, la professoressa Niccolai ha deciso che tutte le questioni le riferirà in sede di interrogatorio, già richiesto al pubblico ministero”. Ma è lunga la lista degli indagati a Roma. Tra questi, il “barone barese” Aldo Loiodice, che stando all’informativa della Guardia di Finanza di Bari ricevava sollecitazioni dall’ex garante della Privacy Franco Pizzetti “deciso a ottenere personali garanzie sul sostegno del figlio Federico Gustavo”. Di Loiodice nelle carte è scritto: “L’iniziale nomina di Giorgio Lombardi, veniva verosimilmente ottenuta grazie anche al sostegno del barone barese Loiodice”. Ed è in una conversazione intercettata del 3 febbraio 2010 che proprio Loiodice riconosce il ruolo di Lombardi: “Noi siamo stati sempre giusti da una vita, tu sei il capo della giustizia accademica, e questo l’abbiamo sempre riconosciuto. Hai fatto passare sempre le persone più brave, e quelle devono continuare a passare”.

Poco dopo, nell’informativa si aggiunge anche: “Ferrari e Loiodice allo scopo di realizzare i loro illeciti obiettivi continuavano a ‘manovrare’ sui concorsi. In particolare, il docente barese, informava Ferrari delle pressioni dei “torinesi” su Mezzetti (Luca, professore dell’università di Bologna, ndr) per far sì che questi portasse a compimento il volere di Lombardi (in riferimento al candidato Pizzetti, ndr)”.

Nella lista degli indagati c’è anche il professore emerito di Diritto pubblico comparato all’università di Bologna Giuseppe De Vergottini. “I commenti amari, invece – scrivono i finanzieri – erano quelli di coloro che avevano cercato proseliti e consensi sul fronte ferrariano, ovvero i docenti bolognesi De Vergottini e il suo allievo, Luca Mezzetti entrambi strutturati in seno al Dipartimento di Scienze Giuridiche Antonio Cicu presso la Facoltà di Giurisprudenza”. Sotto inchiesta anche Beniamino Caravita di Toritto, ordinario di Istituzioni di Diritto Pubblico nella Facoltà di Scienze Politiche, della Sapienza di Roma. Il professore Caravita di Toritto è ora tra i docenti universitari che hanno firmato il manifesto per il sì alla riforma costituzionale, proprio come altri che adesso si ritrovano sotto inchiesta a Roma.

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