Consulta nei guai

Corte Costituzionale, indagato il giudice Augusto Barbera per “concorsi truccati”

La toga eletta a dicembre finisce nell’inchiesta sull’Università. L’accusa è di falso in atto pubblico: avrebbe “sponsorizzato” il figlio di Pizzetti

1 Giugno 2016

È tra i giudici che dovranno valutare l’Italicum e – pur non comparendo nell’elenco dei “firmatari per il Sì” – da tempo manifesta il suo apprezzamento per la riforma costituzionale. Parliamo di Augusto Barbera, classe 1938, professore di Diritto Costituzionale e membro della Consulta: il suo nome è nell’elenco degli indagati, con l’accusa di falso in atto pubblico per induzione, nell’inchiesta ormai conclusa sui concorsi universitari del 2010. “Finalmente!”, commenta Barbera al Fatto, “Considero una buona notizia la conclusione delle indagini. Così potrò, per la prima volta, conoscere gli addebiti ed esporre a un giudice le mie ragioni. E sottolineare che non ero membro di alcuna commissione giudicatrice”. Il professor Barbera potrà depositare una memoria difensiva e la procura di Roma valuterà se chiedere il rinvio a giudizio o meno. Per il momento il suo nome è nell’elenco di circa 20 indagati coinvolti nel filone romano dell’inchiesta.

L’indagine nasce nel 2009 e negli atti d’indagine Barbera viene definito “sponsor” del candidato Federico Pizzetti, figlio di Francesco, ex Garante della Privacy. Gli investigatori annotano il contenuto di una conversazione di Barbera del 5 febbraio 2010: “Conferme sulla preventiva attribuzione delle due idoneità si avevano nel corso di una ulteriore conversazione intercorsa tra il prof. Barbera Augusto e lo stesso Mezzetti (Luca, ndr) Il primo, riferiva di una telefonata di Lombardi (Giorgio, ndr) il quale, nel confidargli di aver “preso a cuore” le sorti di (…) gli aveva fatto intendere di farsi ‘carico’ personalmente dell’idoneità di Pizzetti”. In una intercettazione Pizzetti è ancora più esplicito: “Per (l’università, ndr) Europea c’è il ragazzo che m’interessa?”.

Secondo l’accusa, un nutrito gruppo di docenti universitari avrebbe pilotato nel 2010 i concorsi per diventare professori nelle università italiane. L’inchiesta condotta dal pm di Bari Renato Nitti, in collaborazione con la Guardia di Finanza, poi trasferita per competenza a Roma e Milano, nasce nel 2009, quando la procura barese indaga su un concorso bandito dall’Università telematica Giustino Fortunato. Gli investigatori intercettano il professor Aldo Loiodice, professore ordinario di Diritto Costituzionale e rettore della Giustino Fortunato. Siamo nel bel mezzo della riforma dell’ex ministro Mariastella Gelmini che, cambiando le regole del concorso, destabilizza il localismo imperante e vara una commissione nazionale per selezionare i futuri professori. La Gdf scopre che gli indagati tentano di far eleggere nella commissione i professori che ritengono avvicinabili – questa è la tesi dell’accusa – per manipolare i concorsi e pilotare le nomine di tre istituti: Diritto Costituzionale, Diritto Canonico ed Ecclesiastico, Diritto Pubblico Comparato.

Mentre erano in corso le indagini, Barbera fu elevato al rango di saggio della Repubblica, con incarico conferito direttamente dal presidente Napolitano, per aiutare l’ex premier Enrico Letta a varare la riforma costituzionale. Contattato nel 2013, quando, pur non essendo ancora indagato, il Fatto rivelò che era stato denunciato dalla Guardia di Finanza alla procura di Bari, Barbera negò – allora come oggi – qualsiasi coinvolgimento: “Non potevo ricevere pressioni, poiché non sono in commissione, e non ne ho esercitate, quindi non capisco in che modo possa essere coinvolto. Se qualcuno ha fatto il mio nome a sproposito non posso saperlo. Posso soltanto dire di essere estraneo alla vicenda. Con la riforma Gelmini, poi, gli accordi non sono possibili: la commissione è sorteggiata su centinaia di nominativi. Certo, poi può sempre accadere che un collega faccia qualche pressione”. Un ‘saggio’, dinanzi a un eventuale avviso di garanzia, non dovrebbe rimettere il proprio mandato? “La commissione s’è chiusa il 17 settembre 2013”, rispose Barbera, “se poi arriva un avviso di garanzia, e io non ne ho ricevuti, ognuno si comporta secondo la propria sensibilità: un avviso di garanzia non significa nulla, anzi, si tratta di un atto a garanzia dell’indagato”. Dimissioni? “No. Voglio prima ascoltare quel che mi contesta il giudice e spero che esponendo le mie ragioni la mia posizione sia definitivamente chiarita”.

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