Fabio Scacciavillani

Fabio Scacciavillani

Economista e asset manager

Sono nato a Campobasso nell’ormai lontano 1961. Finito il corso di laurea in Economia e commercio alla Luiss di Roma, sono stato ammesso al programma di Ph.D. in Economia all’Università di Chicago, dove ho anche insegnato alcuni corsi.

Dopo aver preso il Ph.D. ho lavorato al Fondo Monetario Internazionale a Washington, alla Banca centrale europea a Francoforte (nel periodo pioneristico in cui è partita l’unione monetaria), a Goldman Sachs a Londra. In seguito, negli anni del boom petrolifero, mi sono trasferito nella Penisola Arabica, approdando prima in Qatar alla Gulf Organization for Industrial Consulting (un’organizzazione internazionale tra paesi del Golfo), poi negli Emirati Arabi Uniti come direttore della Ricerca macroeconomica e statistica al Centro finanziario internazionale di Dubai (DIFC) e infine a Muscat per lavorare al fondo sovrano dell’Oman dove sono stato il capo economista per poi assumere il ruolo di Chief Strategist Officer. 

Oggi sono partner di una boutique di investimento basata a New York (con uffici a Hong Kong e Dubai) che gestisce patrimoni e assiste nella raccolta di capitali le imprese innovative. Inoltre mi dedico a consulenze per clienti internazionali, ho un portafoglio di startup e insieme ad Alberto Forchielli animo il canale YouTube Inglorious Globastards con il relativo podcast.

Penso sia superfluo sottolineare che i miei scritti rispecchiano solo mie opinioni personali e non coinvolgono in alcun modo le istituzioni o le aziende per le quali lavoro, o quelle per cui ho lavorato in passato, né contengono informazioni o consigli su investimenti passati, presenti o futuri. Nelle mie ricerche e nell’attività professionale mi sono occupato principalmente di tassi di cambio, politica monetaria, riforme strutturali, private equity e mercati finanziari. Nonostante manchi dall’Italia da oltre 35 anni, non ho mai reciso il cordone ombelicale con il mio paese (contro ogni ragionevolezza), continuando a sperare (contro ogni evidenza) in un suo futuro migliore. Quindi, più che un cervello in fuga (che sarebbe un’esagerazione), direi che (talvolta) mi sento una coscienza in esilio.

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