Mortai e mitragliatrici contro i civili della minoranza musulmana dei Rohingya. Dopo gli scontri dei giorni scorsi in cui sono morte almeno 89 persone, l’esercito del Myanmar ha risposto aprendo il fuoco contro le migliaia di persone in fuga dai villaggi verso il Bangladesh, in cerca di salvezza. Lo riporta l’agenzia France Presse. I Rohingya sono considerati dai cittadini birmani come immigrati clandestini bengalesi. Più di un milione di loro vive nello stato di Rakhine e sono stati sottoposti a decenni di persecuzioni, incluse restrizioni alla libertà di movimento.

Nella notte di giovedì un gruppo di militanti armati della minoranza musulmana ha lanciato attacchi coordinati contro delle postazioni di polizia a Maungdaw, non lontano dal confine con il Bangladesh, con bombe a mano ed esplosivi artigianali. Nello scontro che ne  è seguito sono morte almeno 89 persone, di cui 12 agenti. A quanto pare, la rappresaglia decisa dal governo di Aung San Suu Kyi, la leader e premio Nobel per la pace, è stata durissima. Sui social media, scrive Repubblica, i difensori dei diritti della minoranza Rohingya hanno riportato di molti raid sui villaggi da parte delle forze governative, con uccisioni e case bruciate. Notizie accompagnate dai video dei civili in fuga.

Le violenze, le più sanguinose degli ultimi mesi nella zona, arrivano un giorno dopo che una commissione guidata dall’ex capo dell’Onu, Kofi Annan, ha rilasciato una serie di raccomandazioni al governo di Suu Kyi su come reagire alle crescenti tensioni nella regione occidentale. Nel gennaio scorso il genocidio dei Rohingya era stato testimoniato dalla foto del piccolo Mohammed Shohayet, annegato insieme alla mamma nel fiume Naf mentre con la famiglia cercava di fuggire proprio in Bangladesh per salvarsi dalla violenza dei militari.

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