Uno degli atti politici che resteranno nella storia è sicuramente quello fatto dalla ministra dell’Istruzione Valeria Fedeli che da quando copre lo scranno più importante di viale Trastevere ha messo in atto una rivoluzione del linguaggio. Non c’è più giornalista che quando scrive di lei si “permette” di parlare di ministro. Tutti scrivono “ministra”.

E non c’è convegno al quale partecipa Valeria Fedeli dove non si utilizzi propriamente il linguaggio. Pena: la reprimenda della ministra. Peccato che poi siano gli stessi anzi le stesse colleghe della Fedeli a usare il linguaggio in maniera impropria. E peccato che a farlo sia proprio la ministra sottosegretaria alla presidenza del Consiglio con delega alle Pari opportunità Maria Elena Boschi.

La giovane renzianissima durante la conferenza stampa svolta nei giorni scorsi a palazzo Chigi sull’edilizia scolastica vantando i “miracoli” del governo Renzi e Gentiloni con la consueta sicurezza ha detto: “Noi sappiamo che il patrimonio immobiliare delle scuole in Italia dalla materna alle superiori è di oltre 42mila edifici”.

Che c’è di strano? Dov’è l’errore? Chi non si occupa di scuola potrebbe anche non accorgersi così come molti non badavano fino a qualche tempo fa alla differenza tra ministro e ministra ma chi mastica la materia si sarà accorto che la sottosegretaria è rimasta ai primi del Novecento dimenticando che dal 2003 con la Legge 53 si è passati dal concetto di scuola “materna” a quello di scuola “dell’infanzia”.

Quisquilie letterarie? Valeria Fedeli ha insegnato anche a me l’importanza di non chiamare “deportati” gli insegnanti che sono stati trasferiti dal Sud al Nord e allora se il linguaggio ha la sua importanza, la Boschi ha fatto un errore da penna rossa perché in quel cambiamento di terminologia c’è un passaggio cruciale che la nostra società non ha ancora assimilato proprio a causa di politici come lei che non danno importanza alla parola.

All’inizio del Novecento con le sorelle Agazzi si parla di “scuola materna” dalla parola maternage la quale indicava che l’insegnante dovesse curare e assistere il bambino, considerato centrale nell’attività educativa, come continuità del lavoro della sua mamma. La Montessori già aveva sostituito quel termine con “Casa dei bambini” spostando l’attenzione sul protagonista della scuola.

Con la Legge 53 del 2003 si compie una rivoluzione: non si tratta più di una scuola fondata sull’assistenzialismo come quello di una mamma bensì di un luogo educativo dove il bambino viene seguito passo per passo dal docente per sviluppare a pieno le sue abilità cognitive, affettive e sociali. Capisco che Maria Elena Boschi non copre il ruolo della Fedeli ma da una politica che ha la delega alle Pari opportunità mi sarei aspettato molto di più. Chissà se dietro le quinte la ministra Valeria Fedeli avrà tirato le orecchie anche alla giovane collega come accadeva ai giornalisti fin quando non hanno imparato a scrivere ministra anziché ministro dell’Istruzione.

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