La proposta di far salire il deficit al 2,9% del pil per cinque anni per ridurre le tasse e spingere la crescita. A dispetto dello “scriteriato” Fiscal compact che Monti “si è fatto imporre” dall’Europa. L’attacco agli scissionisti Pd, che se ne sono andati “non dopo l’approvazione di una legge contestata” come il Jobs Act ma dopo la pronuncia della Consulta sull’Italicum, perché, è la spiegazione di Matteo Renzi, “se fossero rimasti nel Pd, in parlamento non ci sarebbero più rientrati”. La stoccata ad personam a Massimo D’Alema e Giuliano Pisapia, che “evocano la stagione dell’Ulivo ma allora stavano contro l’Ulivo”. Poi le colpe italiane nell’intervento in Libia e il contestato capitolo sull’emergenza immigrazione, con quelle frasi (“non possiamo accogliere tutti”, “aiutiamoli a casa loro”) che sembrano rubate a un comizio di Matteo Salvini ma che l’ex premier continua a difendere perché, dice, “c’è un abisso tra noi e la Lega”, ma “al tempo stesso dobbiamo smettere di far venire tutti qua, è buon senso”. Infine l’amarcord sugli incontri con gli altri leader: da “Angela” (Merkel) che da un Consiglio europeo “invia personalmente un sms a Ester”, la figlia del segretario dem, fino alla cena di Stato alla Casa Bianca, l’ultima di Barack e Michelle Obama. Sulla disfatta del referendum costituzionale solo poche righe, perché “piangere sul latte versato non serve”. Pillole di narrativa renziana dall’ultimo libro del leader Pd, Avanti. Alle cui anticipazioni domenica tutti i principali quotidiani italiani hanno riservato un richiamo in prima pagina.

Il patto con Bruxelles: meno debito, più deficit. Veto al Fiscal compact nei trattati – Il Sole 24 Ore dedica l’apertura al capitolo “A testa alta nel mondo”. La solita sfida a Bruxelles, stavolta declinata in un “piano industriale” che il prossimo esecutivo dovrà, secondo Renzi, “proporre al mondo finanziario ed economico”. Punti chiave, il “veto all’introduzione del Fiscal compact nei trattati” (una delle poche battaglie condivise con l’M5S e secondo Repubblica già fatta propria da Paolo Gentiloni) e “un accordo con le istituzione europee in cui l’Italia si impegna a ridurre il rapporto debito/pil tramite sia una crescita più forte sia un’operazione sul patrimonio che la Cassa depositi e prestiti e il ministero dell’Economia hanno già studiato”. Questo “in cambio del via libera al ritorno per almeno cinque anni ai criteri di Maastricht con il deficit al 2,9%”. Cosa che “permetterà al nostro Paese di avere a disposizione almeno 30 miliardi di euro per i prossimi cinque anni per ridurre la pressione fiscale”. Renzi previene la domanda “E perché non lo hai fatto prima?” dandosi da solo la risposta: “Perché non ce lo potevamo permettere”. Ora che “ci siamo mostrati capaci di fare le riforme”, sostiene il segretario, possiamo invece negoziare alla pari con Bruxelles. E questa “sarà la base della proposta politica del Pd per le prossime elezioni“.

L’sms della Merkel a Ester Renzi e la visita dagli Obama – Il Corriere punta invece sui capitoli rivolti al passato. Si parte dai vertici europei, in cui “il galateo continentale impone a tutti di chiamarsi per nome: Angela, Francois, David: sembriamo tutti in gita scolastica“. E’ a uno di questi vertici che “avendo notato che sto scrivendo un sms a mia figlia – la quale, nella sua passione per la cosa pubblica (ha 11 anni, ndr), ha una naturale simpatia verso le donne che fanno politica -, Angela Merkel mi chiede il telefonino e invia personalmente a Ester un sms”. Poi con la Cancelliera, che pure “non apprezza lo stile con cui apro polemiche in Consiglio”, “nel tempo cresce un rapporto di collaborazione”. Con Obama, Renzi ostenta grande vicinanza: “Mi piacerebbe che l’Italia fosse l’ospite della mia ultima cena di Stato alla Casa Bianca”, gli dice a un certo punto l’ex presidente Usa, nel capitolo riportato da La Stampa. “Ci tengo molto”. E via elogiando: “Chiudiamo in bellezza, chiudiamo con l’Italia”. Segue l’organizzazione della visita di Stato. Pochi mesi dopo gli italiani sarebbero andati alle urne per il referendum sulla riforma costituzionale Boschi-Renzi. “Purtroppo è un Sì che non arriverà mai”, è lo stringato commento. “La speranza di conoscere la sera stessa delle elezioni chi governerà il paese andrà a infrangersi contro il risultato negativo”.

Il Fiscal compact “regalino affettuoso” di Monti – Amarcord a parte, ci sono gli immancabili attacchi ai predecessori: “Monti approva il Fiscal compact, il Patto di bilancio europeo, nel 2012”, si legge sul quotidiano di via Solferino di cui l’ex premier e commissario europeo Mario Monti è stato a lungo editorialista. “Solo che, sorpresa!, quelle regole draconiane non valgono per lui, ma solo per i suoi successori, perché le regole entreranno in vigore dal 2015 (…) un regalino affettuoso ai posteri”. Così “i vincoli di bilancio che hanno i mie predecessori sono ancora quelli dei vecchi parametri di Maastricht”, più generosi perché era sufficiente che il deficit rimanesse sotto il 3% del pil. “Il mio governo, invece, scenderà fino al 2,3%: quindi noi abbiamo molti margini di spesa in meno di quelli che sono stati concessi a Monti e Letta”. In compenso, mentre “noi ci siamo presi la flessibilità“. Segue lista di rivendicazioni: “I governi precedenti hanno messo le clausole di salvaguardia, noi abbiamo abbassato le tasse. I governi precedenti hanno firmato il Trattato di Dublino sui richiedenti asilo, noi abbiamo proposto il Migration compact. I governi precedenti hanno prodotto precarietà. Noi abbiamo prodotto il Jobs Act“.

La “vocazione suicida” della sinistra e gli scissionisti affamati di scranni – Infine il capitolo sulla storia più recente del Pd. La storia della scissione. “Quando la sinistra italiana vede che qualcosa inizia a funzionare subito scatta il meccanismo dell’autodistruzione, una vocazione suicida che è incomprensibile ai più”, è la premessa. Ma gli scissionisti, attacca Renzi nelle pagine pubblicate da Repubblica, “non decidono di andarsene dopo il Jobs Act, dopo la Buona scuola, dopo le unioni civili, dopo la legge elettorale”. E “non se ne vanno nemmeno dopo la sconfitta referendaria: nella notte tra il 4 e 5 dicembre sono troppo impegnati a brindare per andarsene (…) Un brindisi che la nostra gente non perdonerà mai. No, i fuoriusciti annunciano di andarsene l’ultima settimana di gennaio 2017, con una dichiarazione affidata al reale leader di quell’area: Massimo D’Alema“. Perché proprio in quella settimana? “E’ la settimana della pronuncia da parte della Corte costituzionale sulla legge elettorale, pronuncia che conferma che l’impianto dell’Italicum è costituzionalmente corretto con l’unico limite della mancata soglia per l’affluenza al ballottaggio”.

Un fatto “che ha introdotto nei ragionamenti degli aspiranti scissionisti un elemento di certezza: se fossero rimasti nel Pd, in parlamento non ci sarebbero più rientrati. A quel punto, frustrati nella prospettiva di tornare a occupare gli scranni da cui continuare a fare la politica di cui sono maestri – quella del logoramento, chiaramente -, decidono di andarsene (…) Non è l’aumento dei posti di lavoro, ma la diminuzione dei posti in parlamento a determinare la scissione”. Poi Renzi demolisce sia chi è nostalgico dell’Unione, “una tragica alleanza” che metteva insieme partiti “che scendevano in piazza contro il governo contestando al pomeriggio le cose approvate al mattino in Consiglio dei ministri”, sia chi rimpiange l’Ulivo. Soprattutto se si tratta di leader “che allora stavano contro l’Ulivo”. “O dall’esterno, in Rifondazione comunista come Giuliano Pisapia”, “o dal’interno, a cominciare da Massimo D’Alema, che quell’Ulivo contribuì a segare”.

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