“Mi facevano mettere i piedi per terra, dove precedentemente avevano versato dell’acqua. Poi provvedevano ad azionare la corrente elettrica per fare scaricare la tensione addosso a me”. Quando arrivava Rambo, il ghetto di “Alì il libico” diventava l’inferno per i migranti che aspettavano di imbarcarsi per l’Italia. Lì dentro si trasformano in ostaggi per poi ritornare a essere migranti nel momento in cui salgono sui barconi o sui gommoni nel tentativo di attraversare il Mediterraneo.

Chi è Rambo – Rambo è il nigeriano di 25 anni arrestato martedì mattina, su richiesta della Procura di Palermo, nel Cara di Isola Capo Rizzuto in provincia di Crotone. All’anagrafe John Ogais, ovvero Rambo, è accusato di far parte di un’organizzazione criminale che gestisce la tratta dei migranti tra la Libia e la Sicilia, di sequestro di persona, violenza sessuale, omicidio aggravato e favoreggiamento di immigrazione clandestina. Era lui uno degli aguzzini che torturava i migranti nel ghetto di “Alì il libico”, li minacciava anche con armi da fuoco, e li privava di ogni loro avere, al fine di ottenere, da parte dei loro familiari, il versamento della somma necessaria quale prezzo della liberazione. Tubi di gomma e cavi elettrici erano gli strumenti che il giovane nigeriano e il suo complice ghanese Sam Eric Ackom – chiamato Fanti – utilizzavano per maltrattare e picchiare i migranti arrivando anche alle violenze sessuali sulle donne.

Torture in diretta con i famigliari – Torture che i due carcerieri commettevano mentre erano al telefono con i familiari dei migranti in modo da convincerli a pagare il riscatto. Rambo e Fanti sono arrivati a Lampedusa nel marzo scorso. Si erano confusi con gli altri migranti. Una volta arrivato sull’isola, però, Fanti è stato riconosciuto e ha subito un tentativo di aggressione da parte delle stesse persone che aveva torturato in Libia. Le indagini della squadra mobile di Agrigento hanno consentito ai pm di Palermo di ricostruire le violenze commesse dai due aguzzini all’interno del “ghetto di Alì”.

Il racconto di Vadro – Le testimonianze dei migranti sono state inserite nel decreto di fermo eseguito stamattina in Calabria dove, all’interno del Cara di Isola Capo Rizzuto, la polizia ha rintracciato Rambo. Vadro è un ragazzo della Costa d’Avorio. Ha 20 anni e alla squadra mobile di Agrigento ha raccontato le settimane trascorse nel deserto con il cugino per raggiungere la città di Sabhah dove “fummo consegnati ad alcuni uomini libici che ci condussero in quello che chiamavano ‘il ghetto di Alì il libico’. Eravamo in mezzo al deserto, era una grande struttura, recintata con dei grossi e alti muri in pietra, che era costantemente vigilata da diverse persone, di varie etnie, in abiti civili ed armati di fucili e pistole”. La struttura, racconta il ragazzo, era suddivisa in tre blocchi: “Nel mio eravamo orientativamente 200 migranti di varie etnie, mentre mio cugino fu collocato in un altro settore. Dopo l’ingresso all’interno del “ghetto” non ho più rivisto mio cugino. Il mio settore era vigilato da un guineano di nome Sidou e da due ghanesi feroci che si facevano chiamare Rasta e Fanti. So che il settore dove era rinchiuso mio cugino era invece gestito da un nigeriano anch’egli molto violento che si faceva chiamare Rambo. Durante la mia permanenza, all’interno di quel ‘ghetto’, da dove era impossibile uscire, ho sentito che l’uomo che si faceva chiamare Rambo ha ucciso un migrante. So che mio cugino ed altri hanno provato a scappare e che sono stati ripresi e ridotti in fin di vita, a causa delle sevizie cui sono stati poi sottoposti. Poi sono stati trasferirti in un altro ghetto. Temo che anche lui sia stato ucciso”.

“Ai ribelli torture con cavi elettrici” – Gli ostaggi restavano lì fino a quando le famiglie non pagavano per il viaggio in Europa: “Ogni volta che dovevo telefonare a casa – ha sempre dichiarato Vadro – Fanti mi legava e mi faceva sdraiare per terra con i piedi in sospensione e, così immobilizzato, mi colpiva ripetutamente e violentemente con un tubo di gomma in tutte le parti del corpo e in special modo nelle piante dei piedi, tanto da rendermi quasi impossibile la deambulazione. Ho, anche, assistito ad analoghe torture poste, da Fanti, in danno di altri migranti. Ho, inoltre, visto trattamenti anche peggiori, come le torture esplicate mediante utilizzo di cavi alimentati con la corrente elettrica. Tale trattamento, però, venivano riservati ai migranti ritenuti ribelli”.

Le sevizie a Victory – Ancora più crudo il racconto di Victory, un nigeriano di 22 anni seviziato da “Fanti” e da “Rambo” con la corrente elettrica che doveva servire a impietosire i parenti rimasti in Nigeria che dovevano pagare il riscatto: “Ognuno di noi, per intimorire i nostri familiari veniva barbaramente picchiato, in modo tale che anche i nostri familiari potessero sentire le nostre urla e impietosirli. Mi torturava ricorrendo alle scosse elettriche.  In particolare, dopo che i cavi elettrici erano posti in tensione mi toccava con essi in varie parti del corpo procurandomi delle dolorose ustioni. A volte, quando la tensione scaricata, addosso a me, era troppo forte cadevo per terra stordito”.

Hamed: “Sono stato appeso in aria” – Stesso trattamento anche per Hamed della Costa d’Avorio che ha pagato due volte il riscatto a causa del rifiuto alla proposta dei suoi carcerieri di lavorare con loro: “Sono stato torturato con i cavetti elettrici in tensione. Subivo delle scariche elettriche violentissime. Questo avveniva circa due volte alla settimana. Altre volte, mi picchiavano, in varie parti del corpo, con dei tubi. A volte mi legavano le braccia e poi mi appendeva in aria, per picchiarmi ripetutamente e violentemente. Nessuno di noi osava reagire. Era un clima di totale terrore. Una volta, col calcio del fucile mi hanno fracassato la testa. La maggior parte delle violenze da me subite sono da ricondurre al predetto Fanti, il ghanese.  Una volta, ho avuto modo di vedere che Rambo, il nigeriano, ha ucciso, dopo averlo imbavagliato e torturato a lungo, un migrante nigeriano che si trovava lì con noi. Altresì, ho avuto modo di sentire che le donne venivano frequentemente violentate dai carcerieri. Nessuno osava ribellarsi”.

Le ustioni di Mohamed – Mohamed, invece, porta ancora “addosso i segni delle violenze fisiche subite, in particolare delle ustioni dovute a dell’acqua bollente che mi veniva versata addosso. Fanti per due mesi mi ha continuamente frustato con un cavo elettrico, procurandomi delle profonde lacerazioni su tutto il corpo. Fu invece Nourou (un altro carceriere fratello di ‘Alì il libico’, nda) a buttarmi su una gamba la pentola contenente acqua bollente, provocandomi delle ustioni. Ho, inoltre, visto Fanti picchiare violentemente, utilizzando dei bastoni, altri migranti reclusi, come me, in quel lager. In particolare, un mio compagno di prigionia ha subito ripetute e inaudite violenze da parte di Fanti, provocandogli, tra l’altro, profonde ferite alla testa e alle braccia. Tale migrante è anch’egli ospite in questo centro (Lampedusa, nda). So, anche, che all’interno di quella struttura vigilata venivano perpetrate violenze sessuali nei confronti delle donne che vi erano lì rinchiuse”.

“Rambo? Uno dei più terribili” – Di “Rambo”, invece, ha parlato un suo connazionale, Efosa di 25 anni: “Era uno dei più terribili, provava goduria nel torturare e veder soffrire la gente. Spesso collegava degli elettrodi alla mia lingua per farmi scaricarmi addosso la corrente elettrica. Accadeva che mi legava ad una sedia e mi colpiva ripetutamente e violentemente  con un tubo di gomma. Mi faceva stare anche 5 giorni senza mangiare e bere. Ho visto violentare delle donne, anche Fanti ha partecipato alle violenze sessuali sulle donne”.

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