La crisi di attenzione per i talk show politici pare continuare, a giudicare dall’auditel. Prendiamo la situazione del martedì sera dove al solitario Floris di una volta si è sostituita la rivalità fra il medesimo, passato a La7, e gli antagonisti, da Giannini fino a Berlinguer, messi in campo da Rai3. Tra le 22 e le 23, e cioè nel cuore del pubblico di riferimento perché lontano più di un’ora dai lasciti della comica iniziale di Crozza (finché c’era), la platea dei due talk (sommandone le cifre) si è progressivamente ristretta dal 2015 al 2017, passando da 2,87 a 2,06 milioni. L’allontanamento più cospicuo avviene fra chi si è fermato alla scuola elementare o alla media inferiore e tra i residenti nei comuni più piccoli (sotto i diecimila abitanti). La perdita è più contenuta fra i laureati e gli abitanti delle città di media dimensione. Sono differenze sulle quali varrebbe la pena di riflettere, ma intanto resta il dato globale: più di uno spettatore ogni quattro ha tralasciato dibattiti, faccia a faccia, sondaggi, esperti e incursioni filmate nella realtà, preferendo cambiare le proprie abitudini (evento clamoroso per la tv, quasi come la conversione a fedi aliene) per approfittare dell’offerta di altri canali.

Il tutto accade mentre ancora qualcuno – non molti a dire il vero – appassionatamente si costerna perché la politica ormai si fa solo in televisione ed è schiavizzata dal linguaggio dello spettacolo, a spese dei “partiti parrocchia” di destra e sinistra, generati dal secolo dell’industrializzazione, della urbanizzazione e della coscienza di classe.

Perché la politica-spettacolo è sotto sfratto in tv? Detto banalmente: il pubblico si è stancato della dieta corrente e nessuno pare in grado di ingolosirlo con qualcosa di nuovo, essendo l’impresa improba in ragione della peculiare caratteristica della tv, ovvero il suo pubblico sempre vastissimo, distratto dal contesto casalingo, armato di telecomando.

Per questo o lo avvinci, o lo attrai, o lo perdi. Per avvincerlo devi raccontare, e per questo i tanti Montalbano mietono spettatori, ma questo non è il mestiere del talk. Per attirarlo devi spararle grosse e possibilmente sempre le stesse per renderle più immediatamente riconoscibili giacché lo spettatore non ama le sorprese, ma la conferma delle proprie attese. La conseguenza è che quando una ricetta mostra di trattenere il pubblico viene propinata ad ogni piè sospinto. Ma quando quella risorsa comincia a stufare (come la trovata acchiappa-share dell’anticasta che, dopo un ventennio di crescente splendore è divenuta solfa di maniera) è difficilissimo scovare sostitutivi. Anche perché i corpi redazionali, selezionati sempre e solo in funzione delle vecchie guerre non sanno come cavarsela nelle battaglie di nuovo tipo, contro nemici che neppure immaginano.

Nel frattempo anche la politica, che si era acconciata alle poltrone degli studi tv, sarà bene che si guardi intorno alla ricerca di vie d’uscita. Ha già abbastanza problemi di suo per doversi fare carico anche di quelli del talk show, a cui così generosamente e tanto a lungo si è donata.

Articolo Precedente

Tv, il meglio della settimana: la saggezza di Montalbano e il successo del Barça

next
Articolo Successivo

Parliamone Sabato, ok chiudere il talk ma ora la Rai dovrà liberarsi del populismo ereditato da Mediaset

next