Sono nate orfane. Orfane di diagnosi e terapie. Di attenzione da parte delle aziende farmaceutiche. E, in molti casi, persino di un nome. Sono le malattie rare, così definite perché colpiscono meno di una persona ogni 2000. Sono in tutto tra le 6mila e le 8mila, secondo l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms). In Europa e Usa interessano circa 60 milioni di abitanti, stando ai numeri di Eurordis, l’organizzazione europea che da dieci anni promuove, l’ultimo giorno di febbraio, la Giornata mondiale delle malattie rare.

Lo slogan dell’edizione 2017 è: “Con la ricerca le possibilità sono illimitate”. L’attenzione è, infatti, rivolta ai progressi compiuti negli ultimi anni dalla scienza e nello sviluppo di nuovi farmaci. “Sono 129 i medicinali per le malattie rare che hanno ottenuto l’autorizzazione per l’immissione in commercio in Europa – afferma il presidente di farmindustria Massimo Scaccabarozzi – e le designazioni di farmaci orfani solo nel 2016 sono 209, quasi triplicate nell’arco dell’ultimo decennio: erano 80 nel 2006”.

Le malattie rare si devono, pertanto, considerare un po’ meno orfane? “Economicamente, quella delle patologie rare è ancora una sfida. È inutile, infatti, avere un’idea samaritana delle case farmaceutiche. Ma le cose non sono più come 10 o 20 anni fa. È stato fatto tantissimo in questo periodo, e le malattie rare sono diventate una ‘storia di successo’ del Vecchio continente. Fanno capire a chiunque quanto sia importante stare insieme come Europa”.

A raccontare la sua storia a ilfattoquotidiano.it è Flavio Minelli, unico italiano a rappresentare i pazienti in un comitato di un centinaio di esperti di malattie rare presso la Commissione europea, che comprende anche medici e ricercatori. Il suo interesse per le malattie rare inizia 16 anni fa per ragioni personali. Il suo primogenito è nato, infatti, con una forma lieve di una delle migliaia di cosiddette “malattie orfane”. Si chiama ittiosi, una malattia di origine genetica che nelle forme più gravi rende la pelle come una corazza di cuoio impenetrabile, portando alla morte in pochi giorni. Il ragazzo adesso sta bene, ma ha rischiato di non venire al mondo. Prima di nascere, il suo cuore si è fermato. I medici sono stati costretti a praticare un cesareo in soli tre minuti, e a sottoporre il piccolo a rianimazione e ventilazione. “Passato il momento iniziale di panico e la paura che mio figlio avesse riportato danni cerebrali, subentrò in me e mia moglie un senso di colpa – spiega il papà – Sedici anni fa, infatti, non avevamo mai sentito parlare di malattie rare. E, quando i medici, nel corso di una delle tante visite di controllo prima del parto, ci chiesero della presenza di casi di malattie genetiche nelle nostre famiglie, non ci venne in mente di nominare l’ittiosi. Fu quel senso di colpa per non aver fatto abbastanza a spingermi a interessarmi di malattie rare”. Un interesse che da allora non è mai venuto meno. Nei prossimi giorni il Minelli volerà a Vilnius, in Lituania, per partecipare a un incontro che segnerà ufficialmente la nascita di un nuovo strumento di contrasto e sensibilizzazione sulle malattie rare: le reti europee di riferimento, “strutture per la condivisione delle conoscenze e il coordinamento delle cure sanitarie attraverso l’Unione Europea”.

“Se negli ultimi anni lo sviluppo di famaci orfani da parte delle aziende farmaceutiche è diventato più appetibile – spiega Minelli – il merito è sicuramente della creazione di strumenti legislativi europei che hanno dato alcuni benefici alle case farmaceutiche, come un periodo di esclusività più lungo sui farmaci. Ma non solo. A dare un fondamentale contributo è stata anche la formazione di una rete. Un network – aggiunge Minelli – fatto non solo di pazienti, ma anche di ricercatori, che ha permesso di mettere insieme informazioni e conoscenze, rendendo possibile ciò che solo pochi anni fa sembrava quasi impossibile”.

La decima edizione della giornata per le malattie rare è accompagnata da due buone notizie. Da un lato, la recente decisione dell’Onu di inserirle a pieno titolo nei cosiddetti 17 obiettivi di sviluppo sostenibili. Dall’altro, la firma, nelle scorse settimane, da parte del premier Paolo Gentiloni, del decreto che aggiorna i Livelli essenziali di assistenza (Lea), le prestazioni che il Servizio sanitario nazionale fornisce gratuitamente. Una decisione che comporta l’aggiunta di 110 nuove malattie rare – come la sclerosi sistemica progressiva o la miastenia grave – all’elenco delle patologie già incluse nei Lea. “Le malattie rare rappresentano una sfida paradigmatica in sanità – dice Walter Ricciardi, presidente dell’Istituto superiore di sanità (Iss) – ci pongono il problema dell’equità nell’accesso ai farmaci, all’assistenza e ai servizi. Il problema riguarda pochi malati per ogni singola patologia. Oggi – sottolinea lo studioso – il registro del Centro nazionale malattie rare dell’Iss conta 195.452 casi di malattie rare. La cifra, però, si riferisce solo a quelle riconosciute con il codice d’esenzione. Si tratta, infatti, solo della punta dell’iceberg di una realtà molto più complessa, dove ancora una malattia su quattro resta senza diagnosi”. Un sommerso che rischia di non emergere, malgrado i passi avanti compiuti negli ultimi anni. “La mia paura – conclude Minelli – è di un ritorno nell’oscurità per le malattie rare, per ragioni economiche. Le risorse, infatti, non sono infinite”.

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