È guerra istituzionale sulla Ferriera di Trieste. Il sindaco Roberto Dipiazza (Forza Italia) ha diffidato la Regione guidata da Debora Serracchiani a certificare, entro 45 giorni, l’avvenuta esecuzione dei lavori svolti sull’altoforno dello stabilimento siderurgico ormai noto come “l’Ilva del nord”. Lavori che l’azienda ha dichiarato di aver ultimato lo scorso aprile, aumentando di seguito le tonnellate di ghisa prodotte. Ma secondo l’Autorizzazione Integrata Ambientale per l’aumento di produzione era necessario il via libera della Regione.

Le premesse dello scontro politico c’erano tutte: da una parte la presidente Serracchiani ha da sempre dimostrato piena fiducia nella nuova proprietà, fino a dichiararsi – soltanto due giorni fa – rassicurata dal prospetto dei lavori fornito dall’azienda, plaudendo all‘attuazione dell’Accordo di Programma firmato nel 2014 con il premier Renzi, che “sta procedendo anche con il risanamento ambientale”. Dall’altra il Comune di Trieste, con il neo-eletto sindaco Dipiazza che in campagna elettorale aveva fatto della Ferriera uno dei suoi leitmotiv, annunciando che sarebbe giunto in 100 giorni a programmare la chiusura dell’area a caldo dello stabilimento. Una promessa destinata a non concretizzarsi in realtà, ma che si è accompagnata ad altre azioni portate avanti in sinergia con i movimenti ambientalisti locali attivi sul tema. Tra queste la nomina, lo scorso 30 settembre, di un consulente per supportare il Comune nel monitoraggio della qualità ambientale. E, ora, la diffida rivolta alla Regione guidata da Debora Serracchiani: “Il Comune di Trieste, verificato che a tutt’oggi non risulta definito, con l’accertamento del completamento degli interventi strutturali relativi all’altoforno, il procedimento inerente alle prescrizioni previste dall’AIA, diffida la Regione autonoma Friuli Venezia Giulia a concludere, entro 45 giorni, il procedimento amministrativo relativo agli interventi strutturali per l’altoforno”.

Non si tratta di una pura formalità dal momento che, stando all’AIA, solo grazie alla certificazione della Regione sarebbe stato possibile per l’azienda aumentare la produzione di ghisa, superando il limite imposto un anno fa dall’ex sindaco Roberto Cosolini a fronte degli sforamenti registrati. Eppure, in una relazione pubblicata dall’Arpa lo scorso settembre, risulta che la proprietà avrebbe già aumentato la produzione di ghisa: per questo motivo, insieme alla diffida inviata alla Regione, il sindaco Dipiazza ha emesso anche un’ordinanza restrittiva nei confronti della proprietà, intimando “di mantenere la produzione mensile di ghisa nel limite delle 34.000 tonnellate, ai fini della tutela della salute pubblica”, chiedendo inoltre di essere informato sulla produzione giornaliera “in modo da permettere una verifica dell’andamento temporale produttivo dello stabilimento”.

Le accuse vengono condivise dal Comitato 5 Dicembre, che nel corso dell’anno ha mobilitato la piazza per chiedere la chiusura dell’area a caldo: “Secondo l’Arpa “l’azienda si è ritenuta svincolata dai limiti imposti” dall’AIA, e la Regione ha aspettato cinque mesi solo per cominciare la procedura di accertamento. Ciò è molto grave e mostra chiaramente un atteggiamento preciso della Regione FVG nei confronti di Arvedi che riteniamo inaccettabile. Quale parola usare per descriverlo? “Complicità”? “Connivenza”?”, si domanda retoricamente il Comitato, che aggiunge: “Il Sindaco ha annunciato di aver ricevuto dall’Azienda sanitaria i risultati delle analisi sullo stress e sulle urine, che saranno resi pubblici a breve. Ma già ora, a una prima lettura, si può dire che i dati riguardanti la salute di chi abita nelle vicinanze dello stabilimento sono allarmanti”.

A complicare il quadro complessivo è giunta, pochi giorni fa, la notizia che la Procura ha iscritto nel registro degli indagati i nomi di 15 ex manager dello stabilimento, accusati di omicidio colposo per la morte per cancro di 40 operai. Una vicenda giudiziaria che, pur non riguardando direttamente l’attuale proprietà, contribuisce a destare preoccupazione sulla pericolosità dello stabilimento.

Articolo Precedente

Amazzoni Climatiche/6 – Sharan Burrow, il mondo del lavoro deve contribuire all’azione climatica

next
Articolo Successivo

Il clima cambia, la politica italiana no

next