Ora fate parlare un maestro. Dopo la lettera del papà di Mattia ai prof dove spiegava perché suo figlio quest’estate non aveva fatto i compiti, tutti hanno detto la loro in queste settimane: politici, giornalisti, genitori, pedagogisti, opinionisti, umoristi. Ho letto con attenzione le varie opinioni. Dai compiti durante l’estate la discussione è passata a quelli di tutti i giorni. E via con gli schieramenti: da una parte i fanatici delle tabelline da ripetere, gli estremisti appassionati del “dovere prima del piacere”; i pedagogisti del “per diventare grandi bisogna imparare a fare sacrifici”. Dall’altra, gli amanti della rivoluzione, della scuola senza compiti, i sostenitori dell’imprescindibile ruolo dell’insegnante unico amico dei bambini, capace solo lui con un tocco di magia di trasmettere il sapere in due ore di storia.

In tutto questo c’è un errore da penna rossa: i compiti vanno dati ai genitori e ai maestri non ai bambini. Non sto scherzando. Serve ribaltare la questione: molti, pochi, niente? Il problema è la qualità. Dobbiamo riflettere su cosa sono i compiti. E lo devono fare per primi gli insegnanti. Devono dare a loro stessi il compito di chiedersi: “Che compiti sto assegnando ai miei ragazzi? Proveranno interesse a farli? Stimolerò la loro curiosità? Scopriranno qualcosa in più? Dovranno solo compilare, ripetere o potranno studiare giocando?”

In questo ci aiuta Gianfranco Zavalloni, un maestro della scuola dell’infanzia e dirigente che prima di partire per il suo “lungo viaggio” ha scritto “La pedagogia della lumaca”. In quel libro parla anche dei compiti: “Chi di noi andrebbe a teatro sapendo che all’uscita ci viene assegnato come compito una relazione sullo spettacolo appena visto? Una relazione che poi, può darsi, nessuno leggerà mai. Mettiamoci per un attimo nei panni di uno studente. Con quale piacere apprendiamo qualcosa controvoglia? Il piacere di leggere, di scrivere, di tradurre, di memorizzare, di far di conto, e più in generale, di apprendere, non può essere imposto. Anzi nel momento in cui è imposto non è più un piacere e diviene, perciò un disincentivo. Ed è quello che ho vissuto con i romanzi e la letteratura per i ragazzi”.

Zavalloni è chiaro: “Si dovrebbe seguire il buon senso. Gli esercizi, i problemi da risolvere, i temi da svolgere dovrebbero essere svolti nelle ore di lezione. Per le altre situazioni si dovrebbero dare indicazioni circa attività culturali che verranno poi riprese in classe: disegni di tramonti, nuvole, alberi, fiori; inchieste; fotografie da portare in classe; ricerca di materiali; visione di filmati, telegiornali; ascolto di brani musicali, lettura di romanzi senza scadenze né compiti ulteriori”.

Ed ecco il compito per i genitori. E’ così difficile pensare di andare a fotografare le piante al parco con il proprio figlio se in classe si sta facendo questo argomento? E’ impossibile pensare a un compito come quello di andare a scoprire che cosa i romani o gli etruschi hanno lasciato nelle nostre città? Si può immaginare una scuola che non finisce alle 16 quando suona la campanella ma prosegue a cena quando al posto del “quizzone” si guarda un telegiornale e si capisce cos’è e dov’è la Mesopotamia oggi? Possiamo il sabato o la domenica andare in libreria a scoprire qualche libro che davvero possa catturare l’attenzione dei nostri ragazzi? Si possono imparare le tabelline senza ripeterle, ma usando il materiale che ci ha lasciato Maria Montessori?

Vi propongo un esercizio suggerito da Daniel Pennac: “All’inizio del prossimo anno scolastico, mettetevi all’ingresso di una libreria. Noterete che la maggior parte degli studenti entra come in una farmacia. Si presenta al libraio con la lista dei libri da leggere come un paziente con la ricetta”. Ecco ciò che dobbiamo evitare: i compiti-ricetta. La rivoluzione dei compiti non sta nell’abbatterli ma nel cambiarli. Forse genitori e insegnanti dovrebbero ritornare a riscoprire l’origine della parola “scuola”, dal greco antico σχολή (scholḗ) che significa “quiete, tempo libero, ozio”. Ma qui non mi resta che dare un compito a chi è pronto con la critica: ricercare l’etimologia della parola “ozio”.

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