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Greenpeace, proteste contro la costruzione di una centrale a carbone in Calabria: “Investiamo nelle energie rinnovabili”

Un gruppo di attivisti ha esposto striscioni contro la riqualifica dell'ex impianto Liquichimica Biosintesi, a Saline Joniche. Andrea Boraschi, responsabile della campagna Energia e Clima dell'associazione ha dichiarato: " Il governo ostacola la crescita delle fonti pulite"
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“Stop carbone”: una scritta lunga 70 metri per bloccare l’apertura di una nuova centrale. La hanno realizzata due squadre di climber, che la scorsa notte si sono arrampicati sulla ciminiera che sovrasta l’impianto della ex Liquichimica Biosintesi, a Saline Joniche, in provincia di Reggio Calabria. È stata questa l’iniziativa messa in atto da un gruppo di attivisti di Greenpeace, che si oppongono al contestato progetto che prevede in quel luogo l’inaugurazione di un sito di produzione di energia termoelettrica. Oltre allo slogan che campeggia sulla ciminiera, e che è visibile fino a una distanza di 2 chilometri, i manifestanti rimasti a terra hanno esposto un lungo striscione su cui si legge: “Stop carbone, accendiamo il sole”.

La centrale a carbone a Saline Joniche è un progetto che risale al 2008, quando la S.E.I. S.p.A. – un consorzio che aveva come azionista principale l’elvetica Repower – chiese l’autorizzazione per la costruzione e l’esercizio di una centrale termoelettrica di 1320 megawatt. Da allora i comitati e le associazioni come Greenpeace, Legambiente e WWF, hanno condotto una battaglia legale terminata quest’anno con una sentenza del Consiglio di Stato che – ribaltando un pronunciamento del TAR del Lazio – ha dato il via libera alla realizzazione della centrale.  Nel frattempo Repower, è stata costretta ad abbandonare il progetto dopo un referendum nel Cantone dei Grigioni dove i cittadini hanno votato contro la costruzione di centrali a carbone. La S.E.I. risulta in liquidazione, ma il procedimento per l’autorizzazione è ancora pendente e il progetto con le autorizzazioni potrebbe essere ceduto a un’altra società. Per bloccare qualsiasi ipotesi di nuovi investimenti e di nuovi impianti serve una data certa per l’uscita dell’Italia dal carbone. 

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Greenpeace chiede da tempo una data certa sulla chiusura delle centrali a carbone. In Europa paesi come il Belgio e le tre Repubbliche Baltiche hanno già chiuso tutte queste strutture. Il Portogallo ha dichiarato che lo farà nel 2020 mentre Regno Unito, Finlandia e Austria entro il 2025, mentre i Paesi Bassi nel 2030. Chiudere le centrali a carbone significherebbe concentrarsi sulle energie rinnovabili, il cui costo sta diminuendo e le tecnologie sono affidabili.

L’azione di oggi fa parte del tour italiano della Rainbow Warrior, la nave ammiraglia di Greenpeace, arrivata a Bari pochi giorni fa e diretta a Catania. Andrea Boraschi, responsabile della campagna Energia e Clima di Greenpeace ha dichiarato: “Lungo la rotta non possiamo ignorare tutte le testimonianze del presente ‘fossile’ di questo Paese, dove il governo ostacola la crescita delle fonti pulite, scommette sulle trivelle, sembra dimenticarsi del carbone. Qui a Saline, ancora nel 2016, resta in piedi il progetto di convertire l’ex Liquichimica, un vero e proprio cimitero industriale, in una centrale a carbone. Un disastro per questo territorio e una scelta sbagliata per l’Italia”.

La protesta è andata avanti anche sui social network. Su Twitter Greenpeace ha scritto: “UK e altri paesi europei hanno una data di scadenza per il carbone.@matteorenzi quando chiuderemo le nostre centrali? #AccendiamoilSole.

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