Centinaia di milioni di euro di utili mai prodotti effettivamente e perdite miliardarie nascoste con dati di bilancio truccati per oltre 2 miliardi di euro. Sarà questo il cuore del processo che dovranno affrontare gli ex vertici di Mp.

Il gup di Milano Livio Cristofano ha rinviato a giudizio tutto e 16 gli imputati – 13 persone fisiche e tre banche – per il caso Mps. Tra loro ci sono gli ex vertici e manager del Monte dei Paschi di Siena, Giuseppe Mussari (ex presidente), Antonio Vigni (ex dirigente generale) e Gian Luca Baldassarri (ex responsabile Area finanza), l’ex direttore finanziario di Rocca Salimbeni Daniele Pirondini e l’ex responsabile Alm Marco Di Santo. Sul banco degli imputati il 15 dicembre ci saranno anche sei ex dirigenti della filiale londinese di Deutsche Bank, Ivor Dunbar, Michele Faissola, Michele Foresti, Dario Schiraldi, Matteo Vaghi e Marco Veroni, e due ex manager di Nomura, l’ex ceo Sadeq Sayeed e l’ex responsabile vendite per l’Europa e il Medio Oriente Raffaele Ricci. Il giudice ha escluso invece l’aggravante della transnazionalità e si pronuncerà invece il 14 ottobre sulla richiesta di patteggiamento, che prevede 600mila euro di sanzione e una confisca di 10 milioni avanzata da Monte Paschi, indagata per aver violato la legge 231 del 2001 sulla responsabilità amministrativa degli enti.

Al centro delle indagini, trasmesse dalla Procura di Siena a Milano e affidate ai pm Stefano Civardi, Mauro Clerici e Giordano Baggio, ci sono le operazioni sui derivati Santorini e Alexandria, sul prestito ibrido Fresh e sulla cartolarizzazione Chianti Classico. Operazioni, attraverso le quali, secondo l’accusa, sarebbero servite a mascherare nei bilanci le perdite realizzate da Rocca Salimbeni dopo l’acquisto di Antonveneta costata circa 10 miliardi di euro.

Le ipotesi di reato vanno dalle false comunicazioni sociali all’aggiotaggio, dal falso in prospetto all’ostacolo alle funzioni di vigilanza di Banca d’Italia e Consob. Imputati anche i dipendenti ed ex della filiale londinese di Deutsche Bank, che aveva strutturato il derivato Santorini poi venduto all’istituto e che sarebbe servito ad occultare le perdite. A giudizio anche i manager della banca d’affari Nomura, che aveva strutturato il derivato Alexandria.

Secondo l’accusa in relazione al derivato Santorini, solo per fare un esempio, ritengono gli inquirenti, gli ex vertici “ideavano, organizzavano, concludevano ed eseguivano un’operazione di finanza strutturata fatta su misura, anomala e fuori mercato”. Solo nel 2011, il peggiore bilancio tra quelli analizzati dalla Procura, l’istituto avrebbe accumulato un miliardo di perdite nette (1,5 miliardi circa di perdite lorde) in più rispetto a quelle dichiarate in bilancio. In totale, poi, le sopravvalutazioni del risultato netto, per l’accusa, hanno superato i 2,2 miliardi di euro nei quattro anni considerati, con una rappresentazione decisamente più rosea di quella che era in realtà. Stessa metodo per ciò che riguarda il patrimonio netto del gruppo senese, che sarebbe stato sopravvalutato per centinaia di milioni di euro in ogni esercizio, dando così un’informazione distorta sulla solidità del gruppo.

Gli ex vertici toscana, sono stati tutti già condannati in primo grado nel processo Alexandria a Siena, dove scoppiò lo scandalo e da dove sono stati trasmessi gli atti che poi hanno dato vita ai filoni di indagine milanesi.

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