di Angelo Mazzoleni

Forse non tutti se ne sono accorti, ma alle elezioni amministrative del 5 giugno era in gioco una prima doppia sfida tra Pd renziano e Movimento 5 stelle: una di carattere politico, l’altra di tipo simbolico-culturale in vista del referendum costituzionale del prossimo ottobre. Entrambe, come ben riassunte dalle parole di una “raggiante” Virginia Raggi.

La prima impressione, scorrendo i dati, non solo di Roma, ma anche di Torino e Bologna, è che il renzismo possa aver iniziato la sua parabola discendente a tutto vantaggio del M5s (anche se in alcuni luoghi ne ha beneficiato anche il centrodestra).

A nulla, dunque, è servito il tentativo del presidente del Consiglio di sminuire la rilevanza nazionale di queste elezioni locali e neppure la tecnica obsoleta di posticipare la resa dei conti spostando l’attenzione sulla battaglia finale del referendum costituzionale con il supporto di personaggi, amati dal popolo, come Roberto Benigni. La politica dello struzzo non ha funzionato, al contrario di quella concreta del presente, incarnata dalla presenza sul palco a sostegno di Virginia Raggi,  da parte di Dario Fo.

Una seconda sfida a distanza appunto di tipo simbolico-culturale, tra due figure importanti del panorama culturale italiano, che Renzi e alcuni media hanno voluto proiettare nel futuro, anticipando e personalizzando quello che era, e resta, un confronto-scontro strettamente di natura politica tra il Pd e il M5s. Solo che anche questa seconda battaglia in prospettiva referendum, è stata per ora perduta dal premier e da Benigni, proprio sul piano mediatico e culturale.

Nella realtà, le idee personali sul referendum di Dario Fo e Roberto Benigni, contano assai poco per gli elettori. Conterà poco, temo, anche entrare nel merito del quesito referendario. Avrà invece un peso fondamentale il confronto tra due visioni diverse di economia, tra modelli politici e sociali antitetici per decidere il destino futuro del Paese.

Comunque la si pensi politicamente, resta il fatto oggettivo che, da questa confronto elettorale, il Pd esce con le ossa ammaccate. La risposta politica, data dagli elettori, a questo primo turno, è stata forte e chiara: i cittadini italiani sono stanchi delle vecchie politiche partitocratiche e del renzismo.

Nonostante un’informazione mediatica spesso ostile al M5s, molti italiani cominciano a pensare che, forse, un cambiamento radicale possa dare garanzie e speranze migliori per il loro futuro, rispetto alle logiche di un consociativismo e trasformismo partitocratico, non solo dal punto di vista etico, ma anche sul versante delle soluzioni concrete ai problemi del Paese.

Sempre più elettori sembrano aver percepito che, dietro la cortina mediatica di Renzi, c’è solo un tentativo estremo di nascondere all’elettorato, e forse anche a se stesso, la paura di un inizio del suo declino politico. Anche la tecnica degli annunci, delle rinnovate 80 “caramelle” elettorali, poi riprese in gran parte, sembra non funzionare più, così come la comunicazione, piatto forte di Renzi.

Certo, gli esiti del ballottaggio potrebbero cambiare in parte gli esiti di questa partita, ma non certo, se stiamo anche ai voti di lista ottenuti dal M5s, una tendenza politica di fondo che vede i Cinque stelle fortemente e costantemente in crescita, grazie anche alla qualità delle candidature, al miglioramento della sua organizzazione. Un Movimento che, se saprà risolvere alcune contraddizioni di gestione a livello di vertice, potrà candidarsi come alternativa credibile anche per il governo del Paese.

L’esito del ballottaggio, ma soprattutto quello del referendum, darà o meno conferma a questa mia ipotesi di prospettiva.

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