Non si possono dormire sonni tranquilli, non in questo Paese e non per le politiche o le leggi che riguardano le donne. Dopo i tagli finanziari alle pari opportunità ecco che salta fuori un emendamento alla legge di Stabilità firmato da Fabrizia Giuliani (Pd) e altre deputate che introduce i codici rosa in tutti gli ospedali italiani. L’iniziativa ha suscitato fortissime proteste e  D.i.Re, UDI,  Casa Internazionale delle Donne, Telefono Rosa, Fondazione Pangea, Ferite a morte, Lenove e Be Free hanno lanciato un appello per scongiurarne l’approvazione. I codici rosa prevedono percorsi rigidi per le donne che ricorrano al pronto soccorso a causa delle violenze, limitando la loro autonomia sui passi da intraprendere per interrompere la relazione con il maltrattante. La richiesta di cure farebbe aprire un iter per le azioni di polizia giudiziaria o altri interventi istituzionali e per questo le associazioni firmatarie dell’appello hanno definito il codice rosa una trappola che toglie diritti e libertà alle donne.

VIOLENZA CONTRO DONNE675

Si tratta di una procedura già applicata dal 2010 all’ausl di Grosseto e dal 2014 in tutta la Toscana e che ora si vorrebbe estendere in  tutto il territorio nazionale con l’illusione di aver trovato una soluzione facile ad problema complesso che richiede azioni complesse e articolate senza prescindere da una relazione profonda e di fiducia con la donna che chiede aiuto.

L’emendamento purtroppo non tiene in alcuna considerazione l’esperienza e la metodologia maturata in quasi trent’anni dai centri antiviolenza che sono completamente tagliati fuori dai percorsi dei codici rosa trasgredendo la Convenzione di Istanbul che ne valorizza il ruolo.

Il codice rosa ha l’obiettivo della persecuzione di un reato e vede la donna come oggetto di tutela invece che soggetto titolare di diritti che le istituzioni hanno il dovere di garantire. Non sarà più la volontà della donna il punto di partenza per cominciare un percorso di uscita dalla violenza ma le procedure con le equipe di esperti che, secondo un immaginario arcaico, svolgeranno il ruolo di un maschile in funzione salvifica (l’istituzione) nei confronti di un femminile debole e passivo. Si riproduce lo stesso stereotipo che è parte integrante di quella cultura che alimenta le discriminazioni nei confronti delle donne e le indebolisce. Siamo dentro un circolo vizioso ma purtroppo è questo l’immaginario che ha prodotto i codici rosa.

La cosa che preoccupa di più è l’ “analfabetismo, costituzionale, legislativo, sociale e culturale” che mette a rischio sia l’emersione del fenomeno che le donne stesse. Le donne hanno paura di perdere il controllo della loro vita e di essere travolte e stritolate dai meccanismi istituzionali: questo è uno degli ostacoli dello svelamento della violenza. La stessa paura viene vissuta nelle relazioni con gli autori di violenza e allora come è possibile offrire una risposta simile?

In Italia esistono province e regioni dove con un paziente lavoro si sono costruite buone reti di collaborazione tra centri antiviolenza e istituzioni ma si incontrano ancora difficoltà come la mancanza di un linguaggio comune, la differente interpretazione del fenomeno della violenza, una formazione differente che può creare sovrapposizioni e ostacoli nei percorsi delle donne. Eppure grazie alla costanza di operatori delle istituzioni e operatrici dei centri anti-violenza si possono migliorare gli interventi. Ci sono invece province e regioni dove non ci sono centri antiviolenza, case rifugio o reti tra associazioni e istituzioni e allora che accadrà una volta avviate le procedure dei codici rosa? Con quale coscienza si possono progettare interventi che non si preoccupino della maturazione della scelta delle donne?

Le associazioni scrivono “che sono anni che il Ministero dell’Interno e quello della Sanità cercano di far passare il “Codice Rosa” come soluzione del problema della violenza maschile contro le donne, nonostante il parere contrario e l’opposizione di tutti coloro che hanno esperienza in questo campo, innanzitutto i Centri Antiviolenza, il mondo dell’associazionismo delle donne, le organizzazioni sui diritti umani” e chiedono ai parlamentari e alle parlamentari di ritirare l’emendamento Giuliani.

Uniamoci alla protesta delle associazioni e firmiamo l’appello, si può aderire scrivendo a direcontrolaviolenza@women.it

@nadiesdaa

Riceviamo e pubblichiamo la seguente risposta

Intorno all’emendamento per istituire il ‘Percorso Rosa Bianca‘ negli ospedali, si è creata una polemica eccessiva. Quello della violenza sulle donne è un fenomeno complesso. Per contrastarlo, anche le risposte devono essere all’altezza: ogni donna sa che non possono bastare – se lasciati da soli o scollegati – né i richiami alle Convenzioni internazionali né il meritorio lavoro dei singoli e delle associazioni. Lo Stato non può stare alla finestra: se vuole davvero farsi carico di un fenomeno che ha toccato livelli drammatici e rispettare gli obblighi che si è assunto, deve organizzarsi per fare il primo passo e andare incontro alle vittime nel momento di maggiore fragilità. A questo scopo, è giusto che preveda di organizzare tutti gli strumenti a disposizione – medici, legali, di polizia – in collegamento con le strutture di assistenza già presenti sul territorio. L’esperienza di Grosseto ci dimostra con i suoi dati che solo una tutela coordinata e tempestiva può essere efficace. Non a caso è stata presa ad esempio in molte altre aziende sanitarie del Paese, come testimonia il progetto pionieristico del Codice Rosa Bianca avviato dalla Fiaso lo scorso anno. Per questo credo che il lavoro fatto sia utile ed equilibrato: non nel senso di creare percorsi rigidi ma per mettere finalmente a sistema la collaborazione che è indispensabile tra varie competenze, prevedendo ad esempio specifici gruppi multidisciplinari con chiari protocolli e responsabilità. Mi pare quindi che non si voglia assolutamente andare contro qualcuno, ma al contrario valorizzare le professionalità di tutti, a partire da quella maturata dai Centri antiviolenza, favorendo sempre di più la libertà di scelta della donna.
Chiara Gribaudo, vicecapogruppo Pd alla Camera dei deputati

Onorevole Gribaudo, tutte le associazioni che hanno firmato l’appello e le donne che operano nei centri antiviolenza della rete D.i.Re respingono fermamente un testo che definisce le donne colpite dalla violenza maschile “appartenenti a fasce di soggetti vulnerabili che possono facilmente essere psicologicamente dipendenti e per questo vittime dell’altrui violenza” e che sottrae libertà di scelta. E’ la dipendenza affettiva delle donne che causa il femminicidio? Non la violenza maschile e le collusioni sociali e istituzionali che colpevolizzano le donne che chiedono aiuto? Trentanni fa i centri antiviolenza smantellarono questa interpretazione del fenomeno che stigmatizza le donne, le espone al rischio di rivittimizzazione e occulta l’origine culturale e storica della violenza maschile e la sua trasversalità. E a proposito di “fasce di soggetti vulnerabili” a quali si riferisce l’emendamento? Alle sei milioni e 788mila donne che secondo l’Istat hanno subito almeno un episodio di violenza fisica o sessuale nella loro vita? L’emendamento inoltre con la sua lettura incredibilmente neutra della violenza maschile, viola proprio la Convenzione di Istanbul che lei cita. Quanto alla denuncia penale non garantisce da sola la sicurezza delle donne e non risolve i problemi che le donne devono affrontare. L’azione giudiziaria deve essere una scelta libera, autonoma e cosciente e non può essere imposta con automatismi; le donne, onorevole Gribaudo, non sono minori: questo è autoritarismo di stampo patriarcale! State rafforzando l’azione penale senza preoccuparvi di rafforzare le donne e pensare a tutte le azioni volte a dare loro autonomia come una casa e un lavoro se non l’hanno e senza occuparvi della loro sicurezza dopo la denuncia col rischio di mandarle allo sbaraglio. Ci impegneremo affinché l’emendamento venga ritirato.

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