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Sabino Cassese, sul Corriere della Sera, scrive: “Gli indicatori dello stato di salute della nostra democrazia non confermano queste interpretazioni allarmistiche”. Si riferisce alle riforme costituzionali, alla legge elettorale appena emanata, all’astensionismo che, a parer suo, non indebolisce la rappresentanza, alla deriva semi-presidenzialistica che sta prendendo il nostro paese.

Secondo il giudice emerito della Corte Costituzionale, i veri problemi non stanno nell’accentramento dei poteri in mano a un presidente del Consiglio che è contemporaneamente capo dei parlamentari di maggioranza, né nel fatto che le riforme costituzionali siano portate avanti da un presidente, lo stesso, che è arrivato a Palazzo Chigi spodestando d’autorità il precedente presidente del Consiglio, utilizzando la votazione della sua segreteria di partito. I problemi si dovrebbero individuare nella “debolezza della società civile” e nelle “forme della dialettica politica”.

Ora, questi due problemi esistono e sono reali, ma non sono gli unici della democrazia italiana. Innanzitutto perché la debolezza della società civile in qualche modo deve essere giustificata: il professor Cassese afferma che il problema è che la società italiana “non ha mai avuto un buon tessuto” e che “non ha mai dato prova di capacità di mobilitazione giorno per giorno”, ma si potrebbe rispondere che da parte della politica raramente si sono avute risposte concrete agli appelli della società civile, e poco sembra sia cambiato con l’attuale legislatura e l’attuale governo. Basterebbe vedere quante proposte di legge di iniziativa popolare siano state effettivamente analizzate. Ma soprattutto perché le riforme incardinate e in dirittura d’arrivo, compresa quella della legge elettorale, che invece è ormai approvata, approfondiscono una già aperta ferita alla democrazia e alla democraticità italiana.

E non è una questione fra gufi e governanti.

Il rapporto Democracy Index, stilato annualmente dal settimanale The Economist, per l’anno 2014 mette l’Italia al 29° posto tra tutti i paesi del mondo su una classifica che misura il grado di democrazia all’interno degli Stati. L’Italia rientra così tra le “democrazie imperfette”, categoria che rientra in una quadruplice distinzione che vede anche democrazie perfette, regimi ibridi e regimi autoritari.
Giusto per dare un’idea della posizione italiana, il nostro paese è posizionato fra il Botswana e il Sudafrica, ed è molto distante da Stati più vicini come Germania (13° posto), Regno Unito (16°) o Stati Uniti (19°). È indubbio, come dice Cassese, che i poteri esercitati dalla Presidenza del Consiglio italiana sono paragonabili a quelli esercitati dagli equivalenti tedeschi o inglesi. Ma a questo mondo tutto è paragonabile e il paragone serve proprio a mettere in luce le differenze, che in questo caso mostrano come a parità, o quasi, di poteri presidenziali, non corrisponde un funzionamento dell’amministrazione della stessa qualità. Il punteggio italiano in questo campo (6,43/10) è sensibilmente inferiore, per esempio, a quello della Germania (8,43/10)

Sempre nel rapporto, si legge che l’eurozona ha subìto una grande erosione di democraticità in corrispondenza della crisi economica e che, in particolare, tale erosione ha colpito Italia e Grecia. In questi due paesi si legge, infatti, “democratically elected leaders were replaced by technocrats”: noi possiamo aggiungere che ai tecnocrati sono succeduti altri leader non democraticamente eletti. Potremmo aggiungere, poi, che i leader non democraticamente eletti stanno modificando l’assetto costituzionale del nostro paese senza esplicito mandato elettorale in tal senso.

Ricollegandoci allo scritto del prof. Cassese, egli afferma che le modifiche costituzionali dell’attuale governo si allineano agli impianti strutturali di altre democrazie europee; ma va sottolineato che queste altre democrazie non hanno subìto i capovolgimenti di governo o la caduta di presidenti che, in qualche modo, comunque, rispondevano al risultato delle elezioni parlamentari.
È poi veramente difficile pensare che l’eliminazione dell’elezione diretta dei parlamentari di una delle Camere e i capilista bloccati per l’altra possano in qualche modo aiutare a dare ossigeno a una democrazia che, stando ai fatti e alla percezione di essa da parte del paese, è in una crisi più che evidente. Infatti, sempre il rapporto Democracy Index descrive le democrazie imperfette, cioè la categoria in cui rientra l’Italia, come le democrazie in cui la partecipazione politica dei cittadini è debole.

La direzione da prendere, dunque, per rivitalizzare una democrazia sempre meno rappresentativa sembrerebbe quella completamente opposta a quella imboccata dalle riforme costituzionali. Ad esempio, di fronte a leggi elettorali con liste bloccate, rendendo obbligatorie le primarie, le quali effettivamente danno la possibilità di maggiore partecipazione, oppure, ma non separatamente, introducendo un sistema di recall, cioè di richiamo del candidato immeritevole.
Perché se è vero quel che dice Cassese riguardo alla dialettica politica, non è meno vero quel che ha affermato qualche anno fa Michele Ainis, cioè che, “il divorzio tra responsabilità e potere è alla radice di tutti i nostri mali”.

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