Sono sicura che a qualcuno ancora non sia chiaro che ruolo ricopra Papa Francesco. Forse a questo punto è giusto smetterla di essere omertosi e dire chiaramente le cose come stanno: Papa Francesco è, colpo di scena, un Papa. Immagino che questa notizia giunga nuova a tutti coloro che, davanti alla scelta di Bergoglio di estendere ai sacerdoti, durante il Giubileo, la facoltà di perdonare l’aborto, hanno polemizzato e si sono indignati rivendicando l’assoluta libertà di abortire senza bisogno di chiedere perdono alcuno. Probabilmente se tutti costoro avessero conosciuto l’identità papale di Francesco ne avrebbero anche individuato il senso e riconosciuto il destinatario, senza sentirsi chiamati in causa in prima persona.

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Non è alle femministe che sono saltate sulla sedia o a tutte quelle donne laiche, intellettualmente libere, le cui scelte non sono in alcun modo vincolate dai dettami, spesso vetusti, della religione cattolica e il cui libero arbitrio è una prateria sconfinata, che Papa Francesco intendeva rivolgersi: queste donne hanno autonomamente sviluppato gli anticorpi ai dictat che la Chiesa impone ai suoi fedeli e spesso hanno addirittura contribuito a portare avanti quelle battaglie che hanno permesso all’aborto di uscire dalla clandestinità. Le interlocutrici del messaggio di Bergoglio sono invece tutte quelle donne prigioniere nell’intersezione tra le necessità della vita reale e l’intransigenza dell’osservanza cattolica, che vivono arrovellandosi nel tentativo di far tornare un conto che quasi sempre fatica a tornare: quello di essere una buona cattolica praticante vivendo nella società contemporanea. Il rigorismo religioso si tinge a volte di tratti talmente anacronistici da rendere una missione impossibile quella del fedele che ambisce ad avere, nel mondo di oggi, una condotta irreprensibile.

Il tentativo che Papa Francesco sta intraprendendo, con questa decisione sull’aborto e con tutta la sua politica papale (vedi l’atteggiamento nei confronti degli omosessuali, l’apertura ai divorziati risposati e la visione di Chiesa come “casa paterna dove c’e’ posto per ciascuno con la sua vita faticosa”) è quello di allargare le maglie di un’inflessibilità ecclesiastica, che sorda alle lancette degli anni si e’ troppo a lungo chiusa in se stessa, generando un profondo senso di smarrimento proprio in coloro che ne avevano più bisogno. L’apertura mentale di una donna illuminata si riconosce non solo nella capacità di autodeterminarsi e di sostenere giuste cause, ma anche dall’abilità di calarsi nei panni di donne diverse, con storie diverse e diversi vissuti, cercando di capire che le esigenze non sono per tutte le stesse.

Estendere a tutte il proprio punto di vista è indizio di autoreferenzialità e finisce per sfociare in una lettura parziale e deviata del mondo circostante.

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