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Crescita, Bce: “Italia è il Paese Ue che negli ultimi 15 anni ha perso più terreno”

L'Eurotower ammette che l'introduzione dell'euro non ha avuto i risultati sperati nel far convergere i tassi di sviluppo degli Stati. Spagna e Portogallo non sono riusciti a colmare il divario, la Grecia è arretrata. Ma è la Penisola ad aver registrato "i risultati peggiori" dal 1999 a oggi. Le cause? "Condizioni istituzionali, rigidità strutturali, scarsa concorrenza"
Crescita, Bce: “Italia è il Paese Ue che negli ultimi 15 anni ha perso più terreno”
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L’Italia è il Paese che negli ultimi 15 anni ha perso più terreno, in termini di crescita del prodotto interno lordo, rispetto alla media Ue. Ad attestarlo è la Banca centrale europea, che nel suo bollettino economico mensile ammette come l’introduzione dell’euro non abbia avuto i risultati sperati nel far convergere i tassi di sviluppo degli Stati che l’hanno adottato. Anzi, dopo il 1999 le economie dell’Eurozona sono cresciute in ordine sparso. Quelle con redditi bassi, come Spagna e Portogallo, non sono riuscite a colmare il divario rispetto ai Paesi più ricchi. Madrid, “dopo una crescita iniziale anche euforica”, ha poi sperimentato “una rapida frenata”. La Grecia come è noto ha invece visto quel divario allargarsi ulteriormente. Ma a “registrare i risultati peggiori” è stata proprio la Penisola, “inizialmente un paese a più alto reddito”. “E questo suggerisce una crescita pil divergenzadivergenza sostanziale rispetto al gruppo con redditi elevati”.

Per spiegare l’arretramento non basta, peraltro, evocare la crisi finanziaria seguita al tracollo di Lehman Brothers: il contesto “può in parte spiegare la divergenza osservata in questi paesi”, scrive l’Eurotower, ma “anche fattori più profondi hanno svolto un ruolo. Ad esempio l’Irlanda, nonostante la grave crisi finanziaria del 2008-2012, evidenzia un lieve miglioramento e rimane tra i paesi con redditi più elevati”. Non solo: se Grecia e Spagna prima del 2008 erano su un cammino di recupero e crescevano più rapidamente del resto dell’area, per poi tornare a perdere terreno nei cinque anni successivi, l’Italia ha invece registrato una crescita inferiore “quasi per l’intero periodo, generando un’aumentata divergenza”.

Quali allora le vere cause? “In primo luogo, le condizioni istituzionali in alcuni paesi non erano favorevoli all’innovazione e alla crescita sottostante della produttività. In secondo luogo, le rigidità strutturali e la scarsa concorrenza hanno contribuito a determinare distorsioni nell’allocazione del capitale e questo ha a sua volta impedito al potenziale di offerta dell’economia di allinearsi alla domanda. In terzo luogo, il brusco calo dei tassi di interesse reali ha favorito una forte crescita del credito e ha fatto salire la domanda, dando origine ad aspettative erronee sui redditi futuri”. Aspetattive che hanno “mascherato” la debolezza della crescita potenziale in diversi paesi, come la Grecia e la Spagna.

Ora per garantire una convergenza reale nell’unione monetaria “appare fondamentale assicurare stabilità macroeconomica e, più in particolare, una solida politica fiscale, un grado elevato di flessibilità nei mercati dei beni e servizi e del lavoro, condizioni favorevoli per un utilizzo efficiente di capitale e lavoro nell’economia, a sostegno della crescita della produttività totale dei fattori, integrazione economica all’interno dell’area dell’euro, un ricorso più forte a strumenti di policy nazionali per evitare cicli di forte ascesa e repentino calo (boom-bust) dei prezzi delle attività e del credito”. L’analisi arriva mentre Berlino e Bruxelles sono impegnate a mettere a punto il progetto di una politica fiscale comune, con un ministro delle Finanze dell’Eurozona e un budget comunitario più ampio di quello attuale.

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