Tremila imputati civili processati in Corte marziale in soli cinque mesi. È la denuncia fatta a fine marzo dalla campagna “No ai tribunali militari per i civili”, che da quattro anni denuncia e chiede che termini una prassi abituale in Egitto quanto vietata dal diritto internazionale.

Non succedeva neanche sotto Mubarak che i tribunali militari lavorassero a così pieno ritmo. Già lo avevano fatto sotto il regime del Consiglio supremo delle forze armate, che era salito al potere dopo la “rivoluzione del 25 gennaio”.

Il recente aumento dei processi di fronte ai giudici militari è stato causato dal decreto voluto dal presidente Abdel Fattah al-Sisi ed entrato in vigore il 27 ottobre 2014, che considera determinate strutture civili dello Stato alla stregua di istituzioni militari. Come, ad esempio, le università. Per questo motivo, centinaia di studenti sono finiti sotto processo di fronte ai giudici militari.

Le procedure seguite dai tribunali militari sono lontane dagli standard internazionali sul giusto processo. I giudici sono impiegati del ministero della Difesa e devono rispondere del loro operato ai superiori. Le sentenze devono essere approvate seguendo una catena di comando e, in caso di assoluzione degli imputati, possono essere annullate dai vertici militari. La presenza in aula degli imputati non è necessaria.

In un caso era veramente impossibile che l’imputato fosse presente: quello di Ahmed Shokier, uno studente, condannato all’ergastolo per un omicidio avvenuto quando egli era morto da un mese.

Numerose sono le denunce di tortura presentate dagli imputati e non prese in considerazione dai giudici. Ne avevamo già parlato l’anno scorso, qui.

Di molti condannati si sono perse le tracce: desaparecidos. Come la tortura, anche le sparizioni forzate sono diventate routine sotto la presidenza al-Sisi.

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