Cinque correnti per cinque candidati. Il grande gioco della corsa al Quirinale è appena iniziato e il Partito democratico è già diviso. Insomma si affilano le armi in vista dell’appuntamento clou di fine mese. La data cerchiata in rosso è quella del 29 gennaio quando alle 15 sfileranno i grandi elettori (1009 sulla carta) per la prima votazione per l’elezione del capo dello Stato. Per il presidente del Consiglio Matteo Renzi dovrà essere “un arbitro che aiuterà il Paese a crescere, sarà custode e garante dell’unità nazionale”. Parole che incrociate con il chiacchiericcio del Transatlantico sembrano rimandare a una figura autorevole e di un certo peso come quella dell’attuale governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco. “Ma quale Visco?”, sbotta in faccia a ilfattoquotidiano.it un peones di rito dalemiano. Le singoli correnti del Pd, infatti, sono in movimento e preparano la contromossa perché non intendono ancora una volta farsi sottomettere dalla personalità del premier in carica.

I primi a rompere gli indugi sono stati gli ex democristiani riuniti sotto il cartello dei “popolari”. Tre giorni fa una cinquantina di parlamentari vicini a Beppe Fioroni si sono riuniti in un noto ristorante con vista Pantheon. Tra una portata e l’altra con ospite d’onore il vice segretario Lorenzo Guerini il nome pronunciato con più insistenza è stato quello di Sergio Mattarella, attuale giudice della Consulta. I cosiddetti popolari, cui si aggiungono i renziani Angelo Rughetti e Matteo Richetti, propongono per la corsa al Quirinale il nome dell’ex ministro siciliano Mattarella. E in alternativa, se Mattarella non dovesse godere di un largo consenso, l’ex segretario dei Popolari, Pier Luigi Castagnetti.

Ma gli ex Dc non sono gli unici a muoversi. Anche i giovani turchi, area riconducibile al ministro Andrea Orlando e al presidente del Pd Matteo Orfini si sono ritrovati qualche sera fa in un ristorante a pochi passi da Fontana Trevi per discutere del successore di Giorgio Napolitano. Nonostante siano legati alla “ditta” targata Matteo Renzi, cui si atterranno in virtù dell’ingresso in maggioranza, caldeggiano fortemente o Anna Finocchiaro o Giuliano Amato. Entrambi graditi all’inquilino di Palazzo Chigi e su cui convergerebbe anche larga parte di Forza Italia.

Ma non finisce qui. Discorso parte merita “area riformista”, l’area che fa riferimento all’ex segretario Pd, Pier Luigi Bersani. Spiega a ilfattoquotidiano.it uno dei fedelissimi di Bersani, il parlamentare Alfredo D’Attorre: “L’area sinistra del Pd si muove unitariamente, non pone veti, non pone pregiudiziali. Ma chiede un nome di alto livello autonomo, indipendente, e che possa coinvolgere fin dalla prima votazione tutte le forze politiche. Se l’obiettivo è quello di trovare un garante alto non si vede perché dobbiamo aspettare la quarta votazione”. Ufficialmente i bersaniani non fanno nomi, ma il nome più accreditato fra le truppe dell’ex segretario è quello di Romano Prodi, che servirebbe a rompere il Patto del Nazareno. In alternativa punterebbero sull’ex presidente del Consiglio, Massimo D’Alema.

Gioca a carte scoperte, invece,  l’area riconducibile del battitore libero Pippo Civati. Il suo candidato è Romano Prodi, per cui ha condotto una lunga polemica verso i 101 franchi tiratori che impallinarono il Professore nel 2013. Il deputato lombardo sta organizzando le manovre della sua area: martedì sera ha riunito i suoi parlamentari in un ristorante a Roma, in via delle Coppelle, per decidere come muoversi nella strettoia tra riforme e Quirinale. La linea è quella dell’inflessibilità nei confronti di Renzi. E nel corso della presentazione del libro Appartiene al popolo, che ha scritto insieme al costituzionalista Andrea Pertici, Civati ha sottolineato l’importanza di questo passaggio: “Noi eleggiamo un presidente della Repubblica che deve rappresentare uno schema politico. E c’è chi è molto affezionato al patto del Nazareno…”. E a chi gli chiede un parere sul nome di Casini, abbastanza gettonato nelle ultime ore, Civati risponde: “Sarebbe la figura perfetta per le larghe intese, mentre eleggere Prodi darebbe tutt’altro segnale. La cosa peggiore è quella di cercare una scorciatoia con una figura minore. Ricordiamo che in questo gennaio, tra riforme e Quirinale, votiamo cose che durano un sacco di anni”.

Sullo sfondo restano le truppe dell’ex sindaco di Firenze. I renziani non proferiscono parola e attendono l’ordine di scuderia di Matteo Renzi. “I nomi veri sono soltanto nella testa di Matteo”, rivela al Fatto uno dei fedelissimi del premier. E fra i nomi veri potrebbe esserci proprio Walter Veltroni, che in un certo senso fu l’antesignano dell’idea di Pd portata avanti in questi mesi dal premier-segretario Renzi. In questo modo “Walter si candiderebbe a fare il pontiere fra Renzi e D’Alema”.

Twitter: @GiuseppeFalci

Ha collaborato Stefano Iannaccone

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