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Stéphane “Charb” Charbonnier

“Ancora nessun attentato in Francia. ‘Aspettate, abbiamo ancora fino a fine gennaio per compierne'”. Una delle ultime vignette disegnate dal direttore del settimanale francese Charlie Hebdo, Stéphane Charbonnier (in arte “Charb“), oggi è vista come una premonizione. E come, se non con l’ironia tagliente e fuori dalle regole che ha da sempre contraddistinto il giornale parigino, i suoi vignettisti potevano raccontarne il momento più buio. Charlie Hebdo ha perso le sue matite più appuntite, spezzate dai kalashnikov di due, o forse tre, attentatori che, il 7 gennaio, hanno fatto irruzione nella redazione parigina durante una riunione e hanno aperto il fuoco gridando “Allah Akbar“.

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Jean “Cabu” Cabut

Tra i morti c’è proprio lui, Charb, che nel 2006 sventolava le copie del proprio giornale che riprendeva le vignette di un altro quotidiano satirico, il danese Jyllands-Posten, che raccontava a modo suo “la vita di Maometto. “Una biografia autorizzata dall’Islam, che riprende episodi tratti dal Corano, ma raccontati attraverso le immagini”. Così Charbonnier aveva spiegato le intenzioni della testata dopo le polemiche sollevate da tutto il mondo musulmano e non solo. Irrispettosi nei confronti della religione: così, da quel momento, erano stati etichettati i vignettisti di Charlie Hebdo. Ma a Charb e colleghi non importava, anzi. Il loro lavoro era proprio quello di fare scandalo. Per questo, quando il 47enne è diventato direttore del settimanale, nel 2009, lo stile che lo contraddistingue non è cambiato. Ancora vignette, ancora satira estrema e ancora polemiche, tanto che nel 2011 il giornale è stato colpito da un altro attentato a suon di molotov, dopo la vignetta satirica ancora sul profeta Maometto dal titolo “100 frustate se non muori dalle risate”. “Preferisco morire in piedi che vivere in ginocchio”, aveva detto in un’intervista a Le Monde di due anni fa.

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Georges Wolinski

Il giornale, però, ha perso anche Cabu, Wolinski e Tignous, altre matite storiche, soprattutto i primi due, che hanno reso famoso il settimanale. Cabu (Jean Cabut) faceva satira dagli anni ’60 su Hara-Kiri, il “padre” del settimanale francese colpito dall’attentato, quando ancora Charlie Hebdo non esisteva. Poi, quando nel 1970 la rivista venne chiusa, migrò con tanti altri nella redazione del neonato periodico parigino. Un padre fondatore, quindi, antimilitarista, spirito anarchico e abituato a lavorare a briglia sciolta. Famoso il suo Grand Duduche, giovane e pigro studente nemico dei militari. Anche lui ha messo la sua firma sul numero “incriminato” del 2006, proprio con una vignetta su Maometto.

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Bernard “Tignous” Verlhac

Altra penna uscita dalla redazione di Hara-Kiri è Georges Wolinski, 80 anni, un altro dei creatori di Charlie Hebdo. Matita considerata tra le migliori e più irriverenti di Francia, disegnava anche per L’Humanité e Paris-Match. Lingua appuntita almeno quanto l’attrezzo del mestiere, Wolinski era solito a uscite provocatorie e che sollevavano spesso polemiche: “Bisogna migliorare la condizione della donna: per esempio ingrandendo le cucine, abbassando i lavelli”, disse in una delle sue battute più famose. Una penna troppo appuntita, come una spada, anche a 80 anni compiuti, e che a molti non piaceva.

L’attentato ha colpito anche Bernard Verlhac, in arte Tignous, il più giovane (57 anni). Una penna diversa, più moderna, che disegna ad alti livelli dagli anni ’80-’90. Anche lui, però, non aveva risparmiato l’Islam con la sua satira e i terroristi non hanno risparmiato lui: “Dopo la primavera araba, l’estate araba” aveva scritto in una delle sue vignette, che raffigura una donna nuda in spiaggia con il velo integrale che le copre il viso.

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