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Mario Draghi si chiama fuori dalla corsa a Quirinale. “Non voglio essere un politico”

Il governatore della Banca centrale europea smentisce le ipotesi che lo davano tra i papabili per la presidenza della Repubblica dopo le dimissioni di Napolitano. E, intervistato da un quotidiano tedesco, lascia intendere che l'avvio dell'acquisto di titoli di Stato è vicino
Mario Draghi si chiama fuori dalla corsa a Quirinale. “Non voglio essere un politico”
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“Non voglio essere un politico. Il mio mandato alla Bce è in vigore fino al 2019″. Così il presidente della Banca centrale europea Mario Draghi, in un’intervista al giornale tedesco Handelsblatt, ha smentito l’ipotesi di poter lasciare l’Eurotower per salire al Quirinale al posto di Giorgio Napolitano, vicino alle dimissioni. L’ex governatore della Banca d’Italia ha così messo la parola fine alle indiscrezioni che lo davano tra i papabili per la presidenza della Repubblica.

Draghi è poi tornato sul rischio di deflazione nell’Eurozona, dicendo che “non è escluso”, anche se “è limitato”. E ha ribadito che, in questo quadro, la Bce si sta “preparando a livello tecnico per modificare all’inizio del 2015 l’ampiezza, il ritmo e le caratteristiche dei mezzi a cui ricorrere qualora fosse necessario per rispondere ad un periodo di bassa inflazione eccessivamente prolungato”. Parole subito interpretate come un’apertura all’attesa operazione di acquisto di titoli di Stato (in gergo quantitative easing) per rilanciare la crescita e sostenere il livello dei prezzi per evitare che l’area euro si avviti in una spirale di stagnazione e esplosione dei debiti pubblici.

Tanto più che Draghi ha scelto per veicolare il messaggio le pagine di un quotidiano di Dusseldorf. Il pubblico a cui si rivolge, dunque, è quello della Germania, che come è noto è tra i Paesi politicamente più contrari all’idea che la Banca centrale di Francoforte aiuti i membri più deboli dell’Eurozona comprando i loro titoli. Il che, secondo il numero uno della Bundesbank Jens Weidmann, equivale a creare una pericolosa bolla finanziaria e a caricare sulle spalle dei contribuenti degli Stati virtuosi i rischi dei Paesi “problematici”.

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