Senza imballaggi né plastica e con un occhio al “chilometro zero“. Si tratta di supermercati, sì, ma dove le merci sono sfuse e l’impatto ambientale è ridotto alla fonte. Se ne contano sempre di più, in Italia ma non solo. L’ultimo aprirà a Berlino, l’hanno chiamato Original Unverpackt (“spacchettato” in tedesco) ed è nato dall’idea di due ragazze tedesche che hanno lanciato una campagna di crowdfunding per finanziarsi.

Ma di supermarket dove il packaging è un lontano ricordo se ne trovano molti sparsi in tutta Europa. E l’Italia non è l’ultima ruota del carro, anzi. Tra i primi esperimenti di negozi d’alimentari a basso impatto ambientale, dove è il cliente a decidere quanta merce acquistare e la plastica e gli imballaggi sono stati aboliti, c’è una realtà italiana avviata dieci anni fa a Torino per mano di cinque giovani neolaureati. “Avevo 28 anni ed ero la più anziana”, racconta Cinzia Vaccaneo, presidente di Ecologos, ente di ricerca sugli impatti ambientali, e Rinova, cooperativa che gestisce la catena di supermercati no-packaging. “Tutto è partito dall’ente, che abbiamo fondato per studiare la riduzione dell’impatto ambientale con un occhio di riguardo alla riduzione alla fonte”. Tradotto, all’eliminazione del problema di smaltimento di plastica e cartone che protegge i prodotti.

E’ nato così il primo “Negozio leggero“, sei anni fa: le merci in vendita sono sfuse e ai contenitori per portarle a casa deve provvedere il cliente, che tende a riutilizzare sempre lo stesso. “Abbiamo pensato a un luogo di sintesi delle nostre ricerche per capire se c’era una reale esigenza di mercato. Non volevamo creare un bisogno indotto ma supportare un’eventuale, reale necessità del consumatore. L’esperimento, durato un anno, ha dato esito positivo”. Cereali e trafile di pasta sono conservati in dispenser simili a quelli che si trovano nelle sale degli hotel. Il consumatore arriva già munito di una confezione riutilizzabile e acquista alla spina la dose della quale ha realmente bisogno. All’interno dei supermarket a zero imballaggi si trovano tutte le merci “domestiche”: latte, pasta, spezie fino a detersivi e a cosmetici. I prezzi? Più bassi ma non in maniera uniforme. Si risparmia fino al 70 per cento su quei prodotti – come le spezie – dove l’imballaggio “pesa” molto sul prezzo finale, attorno al 20 per cento su altri per i quali il packaging incide meno.

Chi entra in supermarket alla spina è un consumatore attento più alla tipologia del prodotto che alla marca. E se il logo diventa superfluo, il discorso è inverso per la qualità. “Abbiamo millecinquecento merci, tutte selezionate dal nostro ente di ricerca e alcune diverse a seconda delle specificità del territorio con una predilezione per i prodotti locali – spiega Vaccaneo –. Nei punti di vendita di Torino, quindi, non si trovano le stesse identiche cose di Roma”.

Al momento sono dieci i “negozi leggeri”, sparsi tra Piemonte, Lombardia e Lazio. Ma esperienze analoghe a “Negozio leggero” vivono anche a Pesaro e Bologna e in autunno sono previste le prime aperture al Sud. Uno spaccato di ecologia ed economia sostenibile: “Quando siamo partiti ci siamo dati due obiettivi – aggiunge Vaccaneo – Uno: distaccarci da una concezione standard di business provando a creare una realtà che garantisse occupazione di qualità e che si auto-retribuisse. Due: provare a essere esempio per i giovani, forse più attuale oggi di allora. Eravamo sbarbati, con un’idea che ritenevamo forte e con tanta voglia di lavorare. Dopo dieci anni siamo ancora in piedi e godiamo di ottima salute”.

Twitter: @AndreaTundo1

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