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Turchia, Erdogan ci riprova: Twitter accusato di evasione fiscale

"Twitter non paga le tasse e insieme a Youtube e Facebook è un'azienda internazionale finalizzata al profitto": è l'ultima accusa del premier al sito di microblogging in una crociata contro l'informazione
Turchia, Erdogan ci riprova: Twitter accusato di evasione fiscale
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Il governo di Ankara ci riprova. Nuova puntata nella guerra intentata dal premier turco Recep Tayyp Erdogan nei confronti di Twitter, ora accusato di non pagare le tasse. La ‘mossa’ arriva dopo che il primo ministro aveva bloccato il social network ma la sua decisione era stata bocciata dalla Corte Costituzionale, che aveva costretto il governo a riaprire il sito di microblogging. Stesso, identico provvedimento anche nei confronti di Youtube, ma anche in questo caso la legge aveva respinto il tentativo di bagaglio intentato da Erdogan. “Twitter, Youtube e Facebook sono aziende internazionali finalizzate al profitto – ha detto Erdogan in dichiarazioni riportate dai media locali – Twitter è un evasore fiscale. Ci occuperemo di questo”, ha aggiunto il premier turco, cavalcando la sua battaglia contro i social network dopo che la rete si è occupata del caso tangentopoli che ha travolto la Turchia e diffuso intercettazioni che coinvolgono nello scandalo lo stretto entourage del primo ministro. Le autorità turche, come detto, avevano bloccato l’accesso a Twitter lo scorso 20 marzo, nel bel mezzo della campagna elettorale per le amministrative che si sono concluse con l’affermazione del partito di Erdogan, l’Akp. Il 3 aprile, dopo un pronunciamento della Corte Costituzionale, è stato sbloccato l’accesso al sito di microblogging. Due giorni fa l’Akp ha presentanto un ricorso alla Corte Costituzionale, chiedendo che sia reintrodotto il bando a Twitter.

La crociata del premier contro i social network è da inserire nello scandalo che ha travolto l’esecutivo di Ankara. Da gennaio, infatti, su Twitter e Youtube escono quasi ogni giorno video o registrazioni compromettenti per Erdogan e per altre personalità del regime. Il 26 marzo, ad esempio, era stato pubblicato l’audio che accusava il primo ministro di aver orchestrato nel 2010 la diffusione di una video a luci rosse contro l’allora capo dell’opposizione Deniz Baykal, poi costretto alle dimissioni. L’attuale leader dell’opposizione, Kemal Kilicdaroglu, alla fine del mese scorso aveva denunciato un “Watergate turco”, mentre Erdogan aveva contestato l’autenticità della registrazione, che ha definito “un montaggio” fabbricato dagli ex-alleati della confraternita islamica di Fetullah Gulen. Sempre alla fine di marzo e sempre su Youtube era uscita una registrazione di una riunione fra il ministro degli Esteri Ahmet Davutoglu, il capo dei servizi segreti del Mit Hakan Fidan e il vicecapo delle forze armate generale Yasar Guler nel quale discutono di un possibile intervento militare in Siria. L’opposizione aveva accusato Erdogan di essere tentato da una ‘avventura’ militare in Siria prima del voto per distrarre gli elettori dagli scandali di corruzione.

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