Interdizione dai pubblici uffici: per molti, ma  non per tutti. Ci si può salvare anche dalla pena accessoria più temuta da Silvio Berlusconi, se la condanna al processo Mediaset sarà confermata in Cassazione. Il leader del Pdl può guardare con speranza alla vicenda di Gianstefano Frigerio, segretario della Dc milanese pluricoinvolto nell’inchiesta Mani pulite e condannato in via definitiva per corruzione, concussione, ricettazione e finanziamento illecito. Nel suo caso, la Camera dei deputati ritenne estinta l’interdizione temporanea dai pubblici uffici “in conseguenza dell’esito positivo dell’affidamento in prova ai servizi sociali“, si legge nella relazione della Giunta per le elezioni della Camera del 6 ottobre 2010, che lo cita come precedente. In base alla legge Gozzini, infatti, il tribunale di sorveglianza aveva concesso a Frigerio il “lavoro esterno”. Come deputato, appunto, con il permesso di partecipare alle sedute per quattro giorni al mese. Lo scranno di Montecitorio come luogo di rieducazione. E di purificazione dalle pene accessorie inflitte dai giudici. 

Gianstefano Frigerio era stato candidato da Forza Italia alle politiche del 2001, nonostante le sue condanne stessero per diventare definitive a ridosso del voto. Il partito di Berlusconi non lo presentò a Milano, dove aveva percorso tutta la sua carriera politica, ma in Puglia, nella lista proporzionale bloccata. E nella lista aveva omesso il nome Gianstefano, con il quale tutta Italia lo conosceva dopo le disavventure legate a Tangentopoli, indicando soltanto il secondo nome, Carlo. Così Frigerio fu eletto agevolmente alla Camera, ma due giorni dopo i carabinieri lo arrestarono: le condanne erano diventate definitive, quindi non “scudate” dall’immunità parlamentare. Comunque non lo portarono a San Vittore, ma all’ospedale San Raffaele, a causa di un problema agli occhi denunciato appena rientrato dall’estero in aereo. Dopo un gran lavorio di avvocati, l’ex Dc ottenne l’affidamento ai servizi sociali, e la Camera ritenne di far cadere l’interdizione. Tra le tangenti ampiamente confessate da Gianstefano Carlo Frigerio c’era il “contributo” di 150 milioni di lire ottenuto da Paolo Berlusconi, fratello di Silvio (soldi legati alla famosa discarica di Cerro Maggiore, per la quale poi Berlusconi junior patteggiò una condanna a 20 mesi e ben 96 milioni di euro di risarcimento).

Un altro personaggio vicinissimo a Berlusconi, Marcello Dell’Utri, ha scampato l’interdizione dopo la condanna definitiva per le false fatturazioni di Publitalia. Ma quella volta fu la Corte di Cassazione, il 10 luglio 2000, ad accogliere il ricorso del senatore, che chiedeva che l’indulto del 1990 fosse applicato anche alla pena accessoria. Perché è vero che lui aveva falsificato fatture prima del 1990, ma anche dopo, dunque il beneficio gli spettava. In altri casi, come quello di Cesare Previti e del deputato del Ccd Giuseppe Drago, gli interessati preferirono dimettersi dopo che la giunta delle elezioni aveva proposto la loro decadenza, e prima che l’aula fosse chiamata a pronunciarsi. 

Nel processo Mediaset, il senatore Silvio Berlusconi è stato condannato in appello a quattro anni di reclusione e cinque anni di interdizione dai pubblici uffici. Nell’udienza in corso in Cassazione, il procuratore generale Antonello Mura ha chiesto di confermare la reclusione, ma di ridurre la pena accessoria a tre anni. Se fosse questa la sentenza dei supremi giudici, l’indulto (quello del 2006) porterebbe a un anno la condanna effettiva, e Berlusconi potrebbe chiedere l’affidamento ai servizi sociali. E magari seguire la via già percorsa da Gianstefano Carlo Frigerio, tangentista rieducato in Parlamento. 

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