Salvatore Settis ha scritto che una serie di ministri per i Beni culturali come Sandro Bondi, Giancarlo Galan e Lorenzo Ornaghi, “fosse stata a Firenze nel Quattrocento, sarebbe riuscita a insabbiare il Rinascimento”. Ottimo motivo per eleggere uno di questi tre draghi (Galan, nella fattispecie) alla presidenza della commissione Cultura della Camera, no? Se tra le macerie del Pd qualcuno avesse ancora a cuore le sorti della cultura, tuttavia, avrebbe potuto ricordare che esiste un motivo ben più grave e specifico per ritenere il nome di Galan davvero impresentabile e radicalmente incompatibile con ogni responsabilità in fatto di cultura: ancora più incompatibile, se possibile, di quanto sia quello di Nitto Palma con la commissione Giustizia.

Quel motivo è il saccheggio della Biblioteca dei Girolamini a Napoli. Del quale saccheggio Galan non ha responsabilità penale: ma ha tutta intera la responsabilità politica, pesante come un macigno. Nell’ordinanza del Gip di Napoli, Francesca Ferri, che ha confermato la detenzione in carcere del direttore-ladro Marino Massimo De Caro (condannato a sette anni in un primo processo, e ora rinviato a un secondo giudizio) si legge che la nomina dello stesso De Caro alla direzione dei Girolamini è avvenuta “ad onta di ogni regola e grazie all’influenza politica correlata all’incarico fiduciario di consigliere dell’ex ministro per i Beni e le attività culturali, Gianfranco Galan”. La nomina a direttore (non fatta da Galan, ma resa possibile solo dal fatto che De Caro era consigliere di Galan al Mibac) fu dunque il decisivo punto di partenza di “un piano criminale studiato in ogni dettaglio” , facilitato dalla “perdurante assenza di controllo e vigilanza da parte degli organi del ministero a ciò deputati” (così sempre il Gip).

Galan ha chiesto pubblicamente scusa per la sua parte di responsabilità in questa storiaccia, ma poi si è appreso che un altro consigliere ministeriale (Franco Miracco) dette l’allarme sulla figura e l’opera di De Caro fin dall’estate del 2011: perché, allora, né Galan né il suo staff ne tennero conto? Perché De Caro era il braccio destro di Marcello Dell’Utri (anche lui indagato perché in possesso di alcuni volumi rubati ai Girolamini), ex capo di Galan in Publitalia. E quando è stato chiesto a Galan perché avesse nominato proprio consigliere uno come De Caro (senza alcun titolo: non è manco laureato), Galan ha risposto candidamente: “Me lo aveva presentato un uomo al quale devo tutto nella vita: Marcello Dell’Utri”. C’è dunque solo da sperare che Dell’Utri non abbia più nulla da chiedere al novello presidente di commissione.

Particolare grottesco, anche Galan aveva ricevuto in dono un libro rubato ai Girolamini da De Caro: ma l’attuale presidente della commissione Cultura è così interessato alla cultura da aver gettato quel volume a casaccio nella sua anticamera ministeriale, dove la Procura di Napoli l’ha rinvenuto. Ora nessuno chiede la gogna mediatica o l’esilio, ma in quale paese ad appena un anno dall’esplosione dello scandalo dei Girolamini uno con le responsabilità di Galan avrebbe la faccia di tornare a occuparsi di cultura? E in quale paese il partito (ex) antagonista del suo lo voterebbe per una simile posizione, umiliando e offendendo Napoli, e tutto il mondo della cultura italiana? Irresponsabilità, amnesia, incompetenza, impudente arroganza: una perfetta costellazione per illuminare le magnifiche sorti e progressive della cultura italiana nell’era Letta-Letta.

il Fatto Quotidiano, 11 Maggio 2013

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