Giorgio Napolitano di peggio non poteva fare. A coronamento di un brutto settennato, che solo una Casta politica e giornalistica sempre più scollegata dalla realtà riesce a continuare a osannare, il futuro ex presidente della Repubblica affida a dieci supposti saggi il compito di concordare un pugno di riforme istituzionali ed economicheTra di loro non ci sono donne e non ci sono giovani. In compenso nell’elenco compaiono cariatidi in politica da 40 anni e dinosauri dell’italica burocrazia.

Ci sono garanti nominati alla testa delle loro Authorithy (Giovanni Pitruzzella) non per la “notoria indipendenza” o per la specifica competenza, ma perché legati da rapporti di amicizia e professionali con l’attuale capogruppo Pdl al Senato, Renato Schifani. Ci sono parlamentari (il leghista Giancarlo Giorgetti) che conoscono le regole dell’omertà da quando hanno ricevuto e poi restituito – senza denunciare nulla – una busta piena di soldi gentilmente portata dall’ex big boss della Banca Popolare di Lodi, Giampiero Fiorani; ex magistrati di sinistra folgorati dalla politica (Luciano Violante) e specializzati nel compromesso opaco alle spalle di elettori e cittadini. Poi, ovviamente, c’è Gaetano Quagliariello, passato con nonchalance dalle file del Partito Radicale ai banchi del Pdl da dove, dopo la morte di Eluana Englaro, dava degli assassini agli avversari.

Insomma, salvo rare eccezioni, la lista dei saggi che dovrebbe portare a un nuovo governo indicando al Paese le quattro o cinque cose importanti da fare nei prossimi mesi, è una perfetta fotografia della classe dirigente, bugiarda, incompetente e voltagabbana, che lo ha affossato.

Questa volta però non basta prendersela con i partiti cattivi. O con il risultato elettorale confuso che obbliga il Parlamento a trovare qualche tipo di accordo. Il responsabile di questo scempio, va detto chiaro, è Giorgio Napolitano: il Capo dello Stato che, se proprio riteneva che la strada dei saggi fosse quella da seguire (cosa che dubitiamo), aveva il dovere di trovare dei nomi diversi. Oppure, e avrebbe fatto bene, avrebbe dovuto dimettersi senza indugio, in modo da far eleggere subito un successore. Un nuovo Presidente che, forte del voto appena ricevuto e del potere di sciogliere le Camere, mettesse immediatamente i partiti davanti all’alternativa: o trovate il modo di dare la fiducia a un governo, o andate a casa. 

Ma Napolitano ha deciso altrimenti. E adesso è nudo di fronte a un Paese costretto a poco a poco ad accorgersi della realtà: i risultati politici dei suoi sette anni al Colle di fatto non esistono, quelli istituzionali neppure.

Dietro le spalle di Re Giorgio restano solo una serie di moniti e appelli – dalla riforma elettorale alla situazione delle carceri – sempre inascoltati; la promulgazione, senza tentennamenti, di tutte le leggi ad personam di Berlusconi (dal Lodo Alfano al legittimo impedimento) poi dichiarate incostituzionali dalla Consulta; le risposte stizzite rivolte ai cittadini che subito dopo l’approvazione dello scudo fiscale, gli chiedevano: «Presidente, non firmi, lo faccia per le persone oneste».

Restano gli interventi a piedi uniti nelle indagini della magistratura e il fallimento dell’operazione Mario Monti, il tecnico che doveva essere il suo successore e che invece gli ha voltato le spalle entrando, con poco successo, direttamente in politica. Dietro Napolitano rimane insomma solo un cumulo di partitocratiche macerie. E adesso l’unica cosa saggia da fare non è affidarsi ai suoi supposti saggi, ma pensare a scegliere un capo dello Stato nuovo che non provenga dalle file dei partiti. Un uomo, o una donna, che conosca l’Italia per davvero e non solo la toponomastica delle stanze e delle segreterie dei Palazzi del Potere.

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