“Di cosa parlano i giornali maschili!?” Me lo sono chiesto e sono andato a vedere le prime pagine e i sommari dei maggiori magazine per uomini. Cerco di sintetizzare:

Men’s Health: “i segreti per sedurre Brittany Belle, Danielle Ruiz,  etc, le quattro bellissime…”; Ben due articoli sul body building e l’esercizio fisico; “Convivenza? Pensaci 7 volte!”; “Quanto sei forte (fisicamente…)?”; “I segreti per farti desiderare”; E l’imperdibile: “Come spiegarle il fuorigioco?”. Accidenti… Max: “Robert Downey Jr. è l’uomo Max di questo mese. Perché… ribelli si nasce!”; “Personaggi fuori le righe, maledetti, ironici e borderline. Come piacciono a noi”; e poi molti articoli di cultura: l’ultimo album di Eric Clapton, la recensione del film cult “Il cacciatore di giganti”, il concerto di Laura Pausini. Affascinante. ForMan Magazine: “Perdi 5 chili”; “Bicipiti in metà tempo”; “Il segreto dei vincenti è dormire”; “Spalle a V”; “4 super tablet provati per te”. Però! – GQ: “Il ritorno di Volverine”…

Qui, lo ammetto, mi sono fermato. Esisteranno senza dubbio giornali maschili diversi… Chissà.
Non mi sono stupito, non vivo nel paese delle meraviglie. Però sono un po’ stufo. E non tanto che nei giornali maschili si persegua questo stereotipo di uomo vincente, muscoloso, più o meno analfabeta, parlando al quale occorre rallentare la frase per farsi seguire. Molti giornali femminili inseguono un’immagine simile e rovesciata delle donne.

Tuttavia, settimanali riviste femminili ad alta tiratura e di tutt’altro tenore, profondi e articolati quanto basta per dar conto che esiste anche un’altra donna, non solo la velina più o meno scema, ce ne sono, e parecchi. Basterebbe citare “Io Donna” del Corriere e “D” de La Repubblica, ma anche Amica, Marie Claire, Vanity Fair e gran parte dei mensili, che sono piuttosto ben fatti. E comunque, rispetto a questa immagine femminile, le donne tuonano da decenni, stigmatizzano il cliché, si oppongono allo stereotipo, garantendosi dunque anche il gusto di sedersi dal parrucchiere e leggere riviste banali, di tanto in tanto, con lo sguardo disincantato e critico che le contraddistingue nel resto del tempo.

Quello che mi colpisce è il passivo e prono silenzio degli uomini. Continuiamo a venire rappresentati come dei trinariciuti, monocigliuti, tetragoni imbecilli, gente che ha solo la funzionalità del pollice su un telecomando. Continuiamo a venire dipinti come dei somari a caccia solo di figa e tablet, salvo poi essere inadatti al trattamento della prima (tanto che abbiamo bisogno di consigli per sedurre) e all’uso dei secondi (che sono dei media, dunque veicoli di contenuti. Li abbiamo i contenuti?). Giocherelloni mai cresciuti, interessati solo al Salone automobilistico, all’ultimo modello di Harley Davidson, alle diete che ti fanno diventare bello in cinque giorni. Ecco, io mi oppongo. Vorrei che venisse messo agli atti che nel 2013 qualcuno si ribellava a questo stereotipo. Lo faccio per me, per quei cinque minuti prima di morire, in cui ripercorrendo la mia vita sarò lieto di aver detto e mi struggerò quando avrò taciuto.

Non ne posso più di questo modello maschile. Non ne posso più di uomini che non si sentono avviliti in questi panni. Non ne posso più del nostro silenzio, del fatto che quello che sentiamo e viviamo resta sempre dentro, nessuno gli dà voce. Noi non gli diamo voce! Non ne posso più di essere considerato in modo così superficiale. Io (molti…) sono un essere complesso, articolato, raffinato, fatto certamente di fisicità, ma non solo; fatto di ormoni, ma non solo; capace di leggere, ma non qualunque idiozia su di me.

Uomini, stand up! Incapaci di raccontarci (perché incapaci di saperci), continuiamo ad essere sottovalutati, strumentalizzati, vessati dal sistema produttivo ed economico. Carne da macello, questo siamo per la maggioranza della cultura imperante. Materiale umano da assumere e licenziare a ogni bava di vento (perché uno che deve comprarsi tutti i giocattoli maschili ha bisogno di soldi, dunque è schiavo del lavoro), da considerare poco perché vale poco, senza idee, senza progetti, senza sogni. Mi pare che basti, ormai. Proviamo ad alzarci e a dire che non siamo così. Proviamo a dimostrare che siamo migliori di così. Iniziamo con dei “no”, come si deve all’inizio di ogni cambiamento. Non dipingetemi così! Io non sono il denaro che ho; non sono le sopracciglia tra gli occhi che mi levo; non sono la macchina che guido; non sono l’idiota prono che tutto subisce; non sono senza prospettive; non sono senz’anima, senza sogni; non sono senza coraggio. Anche quando ho paura.

 

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