Una delle osservazioni che sono solite comparire nel dibattito sulla violenza di genere, e molto spesso in questo blog, è che si parla troppo della violenza degli uomini sulle donne e quasi mai della violenza delle donne sugli uomini.  I commentatori possono essere ostili e balza agli occhi che, in uno spazio del Fatto Quotidiano chiamato Donne di Fatto, essi siano per lo più uomini.

Personalmente, quando non sono interessato ad un autore, non condividendone le idee, semplicemente non lo leggo, quindi mi ha sempre molto colpito la vivacità delle discussioni che nascono e da questo presumo che qualcosa attiva fortemente alcuni uomini. Cosa esattamente? La violenza delle donne considerata argomento tabù e l’attacco al maschio in quanto tale che sarebbero temi dominanti di chi qui scrive agli occhi di chi commenta (e sottolineo commenta, non di chi legge).

In un mio precedente post “La violenza non si cura” nel quale ho parlato della necessità di non equiparare la violenza ad una malattia sono stato molto attento a non ricondurre il discorso esclusivamente agli uomini, ne ho parlato in termini generali includendo le persone senza distinzione di genere, eppure molti commentatori uomini si sono sentiti ugualmente attaccati. Spetta a loro capire perché visto che nel post non facevo una distinzione tra uomini e donne, cosa che fortunatamente qualcuno ha intelligentemente notato. Il dato che ne risulta è che appena si parla di violenza questa parola viene molto più facilmente associata al maschile che al femminile ed il maschile non ci sta.

Specifico che io, per professione, ho scelto di lavorare nel campo della violenza maschile e questa è una scelta di vita che riguarda solo me, non vuol dire che non penso esista una violenza femminile, ma solo che, almeno attualmente, non me ne occupo. Chiunque è libero di costituire Centri di Ascolto per Donne Maltrattanti e Centri Antiviolenza per uomini vittime come qualcuno, a volte, ha suggerito di fare, questo semplicemente esula dalle mie competenze.

Non metto in discussione che ci siano delle donne che possano essere violente con i loro compagni e/o con i loro figli. Il fenomeno esiste ma è importante, secondo me, operare alcune distinzioni rispetto alla violenza maschile che, pur non essendo esaustive, vogliono porre le basi per delle riflessioni. Ad esempio, per una questione puramente di forza fisica, la violenza delle donne potrebbe risultare prevalentemente psicologica.

Un uomo che riceve violenza, nel caso in cui volesse chiedere un aiuto, potrebbe incontrare una sorta di derisione sociale, non è un argomento facile da trattare a causa di stereotipi e di superficialità. Per una donna  arrivare a consapevolizzare e ad ammettere di ricevere delle violenze è un percorso lungo e spesso mette in atto tutta una serie di minimizzazioni per salvare la relazione e l’immagine che ha di sé. Ammettere di subire un maltrattamento per un uomo sarebbe difficile anche in quanto può vedere minata la sua virilità nel parlare di soprusi messi in atto dalla partner. Il costrutto mentale di “l’uomo che non deve chiedere mai” può essere un deterrente per denunciare un maltrattamento subito.

Statisticamente il fenomeno della violenza delle donne sugli uomini è più contenuto (almeno parlando di violenza fisica e di omicidio). E’ vero che esso non viene investito della stessa attenzione della violenza degli uomini, anche se i fatti di cronaca riportano molte più donne vittime di aggressioni che uomini non per una precisa scelta giornalistica, ma perché riportano quello che succede (spero che almeno si possa concordare su alcune considerazioni base come, ad esempio, che di sera un uomo ha meno possibilità di essere aggredito rispetto ad una donna). Di certo maggiori ricerche e discussioni serie  sulla violenza femminile sarebbero auspicabili perché ci muoviamo, che io sappia, in una carenza di informazioni affidabili in cui ognuno dice la sua.

A livello sociale la questione assume contorni  più concreti e meno contestabili. Essere donna implica degli svantaggi in una cultura come la nostra, altrimenti non si spiegherebbero le minori percentuali di donne impegnate nei vari settori pubblici, politici e lavorativi. Pubblicità e mass-media tendono spesso a rappresentare l’uomo come un individuo professionalmente affermato, virile, seduttore, attivo, assertivo, volitivo, dominatore, mentre la donna viene in genere rappresentata come: casalinga, unica persona che cura i bambini, sposa perfetta, amante seducente, feticcio sessuale, bomba sexy. Gli stereotipi sono limitanti per entrambi i generi, ma sono le donne a pagarne un prezzo più alto o comunque più immediato.

E’ tutto molto più complesso di quanto un semplice post possa permettersi di affrontare, ma alcune precisazioni ho reputato importante farle comunque per desiderio di chiarezza rispetto a quello che scrivo, a quello che penso e a ciò di cui mi occupo professionalmente.

di Mario De Maglie

Articolo Precedente

Cina, l’era della first lady rossa

next
Articolo Successivo

Legate nel bagagliaio: le donne di Berlusconi secondo l’India

next