Camminando tra gli hutong di Pechino, le vie della città vecchia, strette e ancora oggi colme di persone, piccoli negozietti e vita sociale dei tempi andati, capita non di rado di incrociare o essere superati da squinternate vetture a tre ruote, che sputano fumi vari e che ospitano sul proprio retro dei piccoli cilindri neri. E’ carbone, che viene consegnato nelle vecchie case, molte ancora senza un bagno privato, per essere consumate nelle stufe interne. La Cina, seconda potenza economica del mondo, infatti, va ancora a carbone (per il 70% della sua energia). Uscendo da questi anfratti, si arriva nelle grandi diramazioni stradali e al carbone delle stufe, si sommano le 12 milioni di auto contate a Pechino nel 2012 (duemila nuove macchine per strada ogni giorno). Risultato: valori di inquinamento ai limiti dell’umano. Le polveri fini supererebbero anche oggi i 600 microgrammi per metrocubo, di molto superiori ai livelli di sicurezza raccomandati dall’Organizzazione mondiale della Sanità.

Quando nel 2008 Pechino ospitò le Olimpiadi, non pochi furono i dubbi circa le condizioni dell’ambiente della capitale cinese. Lo smog avrebbe reso difficile la maratona, si disse, e la vita complessiva degli atleti. In confronto ad oggi, la Pechino Olimpica è una ridente località di montagna, dall’aria tersa e ossigenata, con sfumature blu del cielo che da tempo non si vedono più. Fa freddo in questi giorni nella Capitale – le temperature scendono anche a meno quindici gradi nella notte – e l’aria gelida non sembra favorire l’utilizzo di mezzi pubblici e di energie alternative al carbone per scaldarsi. E così la cappa crea mal di testa, attacchi cardiaci (nelle scorse settimane molti medici hanno lanciato l’allarme) e pericoli alla salute soprattutto per i più anziani e per i più piccoli. Solo nella mattinata di mercoledì venti voli dall’aeroporto internazionale di Pechino sono stati sospesi. Il centro cittadino, visibile da uno dei tanti ponti che disegnano la ragnatela di anelli a comporre la mappa urbanistica della città, è un ingorgo continuo, macchine ovunque, a rendere indistinguibile la nebbia inquinante che arriva dall’alto e quella proveniente dai tubi di scappamento.

Airpocalypse, si è scritto, e comincia ad essere un problema grave, anche per il governo cittadino riunito in questi giorni nella propria sessione politica annuale. E proprio le autorità hanno promesso cambiamenti: “Diminuiremo del 2 per cento le emissioni delle sostanze nocive, facendo tornare il cielo blu a Pechino”. Per chi ci crede, queste sono state le parole del più che probabile sindaco della città. Aumenteranno, dicono, i trasporti pubblici, con l’attivazione di tre nuove linee della metropolitana. Verranno tolte dalla circolazione le vetture considerate “troppe vecchie”, 180 mila circa, e verranno sostituite le caldaie a carbone in molte delle case. Non solo carbone e auto. C’è anche il problema delle fabbriche e delle grandi aziende cinesi che sono molto più attente ai profitti rispetto alla salute dei propri cittadini. Poche sono le aziende statali cinesi, petrolio e non solo, che rispettano le regole internazionali e fino ad oggi la politica ha potuto poco: le grandi aziende statali costituiscono infatti un datore di lavoro imponente e sono in mano di fatto al Partito.

E’ molto difficile che il processo venga messo in atto a meno di indicazioni precise dal vertice. Anche l’inquinamento e le sue conseguenze, quindi, ricadono sotto la nuova guida del segretario Xi Jinping. Sull’ambiente si gioca infatti la partita più rilevante, per tenere unito il paese: specie la nascente classe media locale chiede migliori condizioni della qualità della vita, come ha testimoniato Pan Shiyi, magnate delle costruzioni che ha chiesto a gran voce ai politici, via social network, una maggiore trasparenza sui dati e la possibilità di cogliere esempi da città straniere, per migliorare l’aria della capitale. Che per ora affoga nello smog più totale.

di Simone Pieranni

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