La Calabria è una terra dalle origini antiche. Luoghi che prima di conoscere le desolazioni del presente hanno costituito il dinamico scenario di un nobile passato. Lì, in Magna Grecia, la storia dell’urbanistica antica ha sperimentato, con successo, la realizzazione di centri urbani di straordinaria importanza. Impianti nei quali la fase romana, nella maggior parte dei casi, si presenta come il felice esito di quella greca. Come Crotone, Sibari e Locri. Come Vibo Valentia e Reggio. Come Scolacium. La colonia romana rifondata da Nerva, nella quale, quasi duemila anni fa, fu costruito un anfiteatro da 16-17mila posti. Prima struttura per spettacolo riconosciuta in Calabria.

Si trova nel Parco archeologico di Scolacium noto alla gente del posto come “la Roccelletta”. Su una collina da cui la vista spazia sullo Jonio. Da Capo Colonna fino a Punta Stilo. Tra gli ulivi che l’hanno protetta per secoli. “Prima fra le città dei Bruzi, si crede fondata da Ulisse”, scriveva intorno al 555 d.C. Cassiodoro, il suo cittadino più illustre. Prima la città greca, Skylletion, colonia greca del VI secolo a.C. Che è ancora nascosta sotto un’altura brulla. In attesa che le risorse finanziarie permettano di intraprendere delle campagne di scavo. Poi la città romana sorta poco più di un secolo prima di Cristo per iniziativa di Caio Gracco. Rifondata nel 96-98 d.C. da Nerva. Ancora “importante” in età tardo romana.

Il parco archeologico si presenta al turista come dovrebbe ogni area archeologica. Pulizia e ordine si riscontrano in ogni angolo. Con piacere. Addirittura con meraviglia, pensando alla ricca casistica negativa offerta dai nostri siti archeologici. Così passeggiando dal foro, attraversato dal decumano e dominato dal capitolium, verso il teatro e la necropoli, si giunge alla collina dell’anfiteatro. Dove gli scavi futuri promettono anche la scoperta di altre opere d’arte. Oltre a quelle che già arricchiscono il ricco museo esistente. Raffinate sculture come la statua della Fortuna, il Genio di Augusto, e un raro esemplare di Germanico, il figlio adottivo dell’imperatore Tiberio.

Insomma Scolacium sembra essere una sorta di isola felice nel derelitto mondo dell’archeologia italiana. Ma a ben guardare anche qui, c’è qualcosa che non va. In questo lembo di terra, nel quale secondo la mitologia sembra vivessero i Feaci di re Alcinoo e della principessa Nausicaa, i quali accolsero il naufrago Ulisse nel suo peregrinare verso Itaca. Il parco archeologico, “funziona”. Ma quasi inutilmente. Non esiste una biglietteria perché la gara è andata più volte deserta. L’area di ristoro è vuota per lo stesso motivo. Ugualmente manca una libreria e un merchandising. Per non parlare poi della valorizzazione turistica. Impalpabile. Tutte circostanze sfortunate? E’ possibile. Anche se colpisce la storia di questo sito nel cuore della Magna Grecia. Una storia così diversa da quella di tante altre, costituite da chiusure (di strutture) e sperperi (di risorse). Ma anch’essa, come tutte le altre, segnata dal sovrapporsi di macroscopiche incapacità. Forse anche di diabolici tentativi di ostacolare quel che potrebbe “funzionare”. Molto meglio, pensano alcuni, una struttura economicamente insostenibile. Preambolo naturale di un progressivo abbandono.

Per ora Scolacium ancora vive. (Anche) Bene. Il problema è che con queste premesse sarà difficile che lo faccia a lungo.

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