Il Piemonte è ormai una pattumiera radioattiva. A denunciarlo è Pro Natura, attraverso la sede di Torino: in base all’ultimo Annuario dei dati ambientali dell’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (Ispra), gli ambientalisti mettono in guardia sui rischi corsi da una regione che, da sola, ospita oltre il 96% dei rifiuti radioattivi italiani. Una situazione allarmante, secondo l’associazione ecologista, e destinata a durare ancora a lungo: “Ci sono ben cinque nuovi depositi nucleari in progetto nella nostra regione”, scrive Rossana Vallino su Obiettivo Ambiente, il magazine di Pro Natura. Inoltre, sono ricominciati anche “gli inutili e pericolosi trasporti nucleari verso la Francia”. Un via vai di materiali di scarto radioattivi che, soprattutto in Val Susa, ha già sollevato molte proteste in passato, e che non si limita ai trasporti Oltralpe.

A Saluggia, in provincia di Vercelli, sono stoccati anche rifiuti radioattivi provenienti dal Canada e dall’Olanda. Come le lamine di Petten, ora destinate ad essere spedite negli Stati Uniti. Dopo avere attraversato in autostrada l’intero nord Italia. Rifiuti radioattivi giacenti, trasporti di materiali contaminati attraverso zone densamente popolate, scarichi di radioattività in aria e in acqua. Con il 72,3% in termini di attività ed il 96,42% dei materiali di scarto radioattivi, il Piemonte si aggiudica il poco invidiabile primato di regione più a rischio irradiazione d’Italia. Uranio, trizio, plutonio, trasporti da e per il deposito Avogadro di Saluggia: “Ce n’è quanto basta per lanciare un forte grido d’allarme”, allerta la sezione piemontese di Pro Natura. “Formalmente si tratta di depositi temporanei”, scrive Vallino, ma siccome del Deposito Nazionale definitivo, che per legge doveva essere costruito entro il 31 dicembre 2008, non c’è alcuna traccia, “è facile pensare che questi numerosi depositi saranno destinati ad ospitare i materiali radioattivi chissà per quanto tempo”.

Secondo Pro Natura, che già lo scorso anno aveva diffidato la Regione Piemonte per non avere diffuso il piano di emergenza in caso di incidente radioattivo, come invece voluto dalla legge regionale n. 5 del 18 febbraio 2010, i siti nucleari piemontesi “non sono per nulla idonei per questa funzione”. Anzi, “sono veri e propri siti ad elevato rischio”. Le località più interessate? Trino (VC), dove l’azienda incaricata di smantellare i vecchi impianti nucleari italiani, Sogin, ha recentemente iniziato il decommissioning dell’isola nucleare della centrale Enrico Fermi; Bosco Marengo (AL), dove le operazioni di bonifica ambientale dell’impianto Fabbricazioni Nucleari hanno portato allo smantellamento e la decontaminazione (ma non alla rimozione) delle apparecchiature per la produzione del combustibile nucleare; e Saluggia (VC), nota non solo per avere accolto le barre di combustibile irraggiato delle centrali di Latina e Garigliano, ma anche e soprattutto perché ospite dell’85% dei rifiuti radioattivi italiani. Che, in gran parte in forma liquida, non dovrebbero stare a poche decine di metri dal fiume Dora Baltea, né ad 1,5 Km dall’acquedotto del Monferrato, una delle falde acquifere più importanti del Piemonte. C’è poi Ispra (VA), a ridosso del territorio piemontese, dove per circa 40 anni l’attività del reattore sperimentale dell’Euratom ha rilasciato nel Lago Maggiore importanti dosi di sostanze radioattive.

Piemonte come fulcro di problemi che, però, non sono legati solo al nucleare italiano, e che a Saluggia assumono connotati internazionali. Sì, perché nella località vercellese, oltre agli scarti radioattivi nostrani, ci sono anche quelli della centrale nucleare di Pickering, località canadese sulla sponda settentrionale del lago Ontario (nota per la fuga radioattiva verificatasi negli stessi giorni del ben più grave incidente di Fukushima Daiichi). E, grazie ad un accordo internazionale tra gli Stati Uniti e la stessa Euratom, anche alcune lamine di Petten, provenienti dall’omonima località olandese e ora destinate a raggiungere gli Usa stessi. Da Saluggia, infatti, questo materiale (che rientra nella tipologia “combustibile irraggiato ad uranio altamente arricchito”) verrà trasportato prima su gomma fino al porto di Trieste, poi via mare oltre oceano. Secondo la Prefettura di Novara, queste lamine radioattive a spasso per il nord Italia non sono un problema: i container sono a tenuta stagna, anche se non manca un vademecum sulle norme comportamentali da seguire in caso di emergenza radiologica. Per l’ingegner Lamberto Matteocci, responsabile del servizio controllo attività nucleari dell’Ispra, che monitora la radioattività ambientale, “non è necessario sentirsi in una condizione di rischio”. “La presenza dei rifiuti radioattivi non comporta un’assenza di sicurezza nella gestione degli stessi”, rassicura Matteocci, anche se “indubbiamente ci sono molte cose da fare in termini di un loro condizionamento, trattamento e stoccaggio”. E per quanto riguarda i loro trasporti? “Sono operazioni il cui livello di sicurezza è molto elevato, con numerose misure prese per prevenire incidenti. Che, semmai dovessero verificarsi, a livello di conseguenze radiologiche interesserebbero comunque un raggio molto limitato, nell’ordine di alcune centinaia di metri”.

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