“Oggi ne ammazzeranno un’altra: lo dicono le statistiche. Uccidono una donna ogni due giorni, e nessuno dei nostri politici si fa carico di questa mattanza”. Riccardo Iacona, giornalista e autore di “Se questi sono gli uomini” (Chiarelettere), nel quale racconta la strage delle donne, contiene a fatica la rabbia per l’omicidio numero 100 da inizio anno, quello di Carmela Petrucci, l’altroieri a Palermo. “L’assassino ha detto: ‘Ho perso la testa’. Davvero? Allora perché aspettava le ragazze col coltello?”.

Iacona, si dice che il femminicidio sia connaturato nella nostra società, quasi fosse inevitabile. Lei che pensa?
Mancano due mesi per arrivare a 137 omicidi, come nel 2011. Tutti uguali, con gli stessi meccanismi. Ci sono molte storie come quella di Carmela: la prima che racconto nel mio libro è quella di un’altra ragazzina, Vanessa Scialfa, strangolata dal fidanzato con un cavo elettrico. Solo un Paese barbaro può ignorare queste morti. Solo politici complici possono tacere. Dobbiamo obbligarli noi a intervenire: per esempio, il ministro dell’Interno ha il potere di reagire.

Cosa potrebbe fare il ministro Cancellieri al di là di dichiarazioni di circostanza?
La legge sullo stalking c’è: deve fornire gli strumenti per applicarla. Bisogna farla diventare una priorità: il femminicidio deve entrare nell’agenda politica. Poi può finanziare il piano anti-violenza, moltiplicare i centri di supporto e i punti d’ascolto. Per quanto riguarda la prevenzione, prendiamo esempio dal Nord Europa, dove impongono terapie per controllare la rabbia appena hanno notizia di maltrattamenti.

Perché da noi invece si fa poco?
Il problema è la mancanza di stupore. E dunque di reazione. Ma questa è un’emergenza nazionale e va trattata come tale: con una seduta straordinaria del governo. Sono in grado di fronteggiare quello che sta succedendo? Se sì, lo dimostrino.

Cos’ha scoperto lavorando sul suo libro?
Per cominciare i delitti, che spesso hanno le stesse dinamiche, avvengono invece in contesti molto diversi. Le vittime appartengono a tutti gli strati sociali. Prevalentemente però vengono uccise al Centro-Nord: cioè dove lavorano di più, e sono quindi più indipendenti, subiscono di meno. L’uomo non ammazza la fidanzata che si prende il pugno e tace, ammazza quella che lo denuncia o se ne va di casa. Questi sono omicidi mafiosi.

In che senso?
Carmela è stata ammazzata di giorno, sotto casa, davanti alla gente. Sono punizioni esemplari, di uomini che si credono angeli vendicatori del loro onore contro l’emancipazione della donna. C’è un’Italia nascosta che ci riporta indietro agli anni Cinquanta, e noi la sopportiamo.

Eppure l’assassino di Carmela era un ragazzino, figlio di questa generazione.
Già, non è nato negli anni Trenta e questo è ancora più allarmante. L’ossessione del possesso s’insegna a casa, c’è un apartheid contro le donne che in tanti, complici, supportano. Sanno che la vicina di casa, l’amica o la zia viene menata, e guardano dall’altra parte. I ragazzi crescono così e i giornali, tutte le volte che titolano “Storia d’amore finita in tragedia”, peggiorano le cose. Che c’entra l’amore? É possesso, dicono “tu sei mia o di nessun altro, fai quello che ordino io”.

Quando è stata uccisa Hina, la ragazza pachistana, l’Italia intera si è sollevata contro la barbarie considerata normale in altre culture. Cosa ci impedisce di guardare in casa nostra?
Una grandissima ipocrisia. Mi viene anche in mente la nostra indignazione contro la nuova Costituzione tunisina, dove le donne sono considerate ‘complementari agli uomini’. Altro che Tunisia: da noi gli uomini – padri, fidanzati, ex mariti – ne ammazzano una dopo l’altra. Possibile che in Italia nessuno combatta per la libertà delle donne di non morire?

Twitter @BorromeoBea

Da Il Fatto Quotidiano del 21 ottobre 2012

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