Il compromesso tra la Germania e la Banca centrale europea sembra definito. Lo dimostrano le parole concilianti di Angela Merkel ieri dopo l’incontro con Mario Monti a Berlino e lo dimostra l’intervento del presidente della Bce Mario Draghi pubblicato ieri sul quotidiano tedesco Die Zeit.

La cancelliera tedesca appoggerà la linea del membro tedesco del board della Bce, Joerg Asmussen, e quindi lascia isolato il presidente della Bundesbank, Jens Weidmann, che si oppone a ogni forma di intervento straordinario da parte di Francoforte. In cambio Draghi si impegna a farsi garante di quel processo di integrazione economica, di bilancio e politica che secondo Berlino è l’unica garanzia davvero efficace: solo con una progressiva cessione di sovranità da parte di tutti i contribuenti tedeschi potranno essere sicuri di riavere indietro i soldi con cui finanziano i programmi di aiuto ai Paesi ad alto debito. 

Visto che il rigore non ha funzionato come gabbia esterna attorno ai Paesi indisciplinati (che ora sono pure sprofondati in gravi recessioni), Berlino prova a imporre quella dell’integrazione europea. Se non può essere Berlino il cerbero della virtù, che almeno lo sia Bruxelles (e Francoforte). Draghi asseconda l’evoluzione. Nell’articolo su Die Zeit, quasi un manifesto del nuovo europeismo che parte proprio dalla difesa dell’euro, Draghi scrive: “La Bce non è un’istituzione politica. Ma è legata alle sue responsabilità come istituzione dell’Unione europea” e le banconote stampate da Francoforte “portano impressa la bandiera europea e sono potenti simboli dell’identità europea”. Negli ultimi tre anni di crisi la Germania ha spesso invocato più integrazione soltanto per rinviare interventi concreti pensati per evitare il crollo della moneta unica.

Per questo Draghi indica una lista precisa di temi su cui la Germania deve dimostrare che la sua intenzione di rivedere i trattati dell’Unione non è solo una tattica per temporeggiare, ma un impegno serio. Molti dei temi elencati non piacciono a Berlino, dal rafforzamento del mercato unico (liberalizzazioni per favorire la concorrenza a livello Ue) a una invasiva supervisione bancaria a livello della Bce, che deve poter liquidare le banche zombie, che oggi restano in piedi solo per ragioni politiche (ce ne sono diverse in Germania). Draghi concede però anche ampio spazio al rigore caro agli elettori tedeschi: nessuno deve vivere al di sopra dei propri mezzi o adottare politiche di bilancio che possano danneggiare gli altri Stati membri. Con una giravolta sorprendente, ma utile dal punto di vista diplomatico, il presidente della Bce ribalta una sua affermazione di qualche mese fa che suscitò polemiche: “Questa non è la fine del modello sociale europeo, ma il suo rinnovamento”.

La Germania, dunque, avrà l’integrazione che chiede, ma sarà la Bce a guidare il processo. O meglio, sarà Draghi in persona a prendere la leadership, di gran lunga il più forte degli autori del “rapporto dei quattro” (cioè i presidenti di Bce, Europarlamento, Commissione e Consiglio Ue), il documento che fa da quadro ai negoziati di questi mesi. Forte di questa legittimità, che in parte si prende da solo, Draghi rivendica il diritto di “andare oltre i tradizionali strumenti di politica monetaria per adempiere al nostro mandato”, cioè garantire la stabilità dei prezzi e la tenuta del sistema dei pagamenti (cioè la moneta unica). Tutto sembra quindi pronto perché nella riunione del Consiglio direttivo della Bce di giovedì prossimo, Draghi possa annunciare un qualche strumento straordinario per ridurre gli spread di Paesi impegnati nelle riforme, ma puniti dai mercati, come l’Italia. Va notato il curioso ribaltamento: la Germania si è sempre opposta agli interventi d’emergenza della Bce perché non voleva snaturarne il mandato, cioè la lotta all’inflazione.

Gli eventi hanno portato Draghi a estendere il mandato della Bce alla costruzione della nuova Europa, a diventare il nucleo di quello Stato europeo dietro la moneta la cui assenza è considerata da tutti la ragione profonda dei disastri di questi anni. E il bello è che Draghi può sostenere di aver dovuto compiere questa svolta proprio per rispondere alle richieste di Berlino, che invoca più integrazione.

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