A Dortdumnd c’è il Museo della birra, a Duisburg un grande parco naturale costruito sulle ceneri dell’acciaieria. A Pittsburgh va forte il settore biomedico mentre a Bilbao è stato costruito il Guggenheim, tra i musei più importanti al mondo. Non sappiamo se l’Ilva possa essere davvero riqualificata ma in giro per il mondo le esperienze non mancano. Del resto, l’ipotesi di chiudere una produzione inquinante conservando i posti di lavoro, è talmente bella e interessante da non poter essere respinta. Poi, però, se si pensa alla riqualificazione di Bagnoli a Napoli, chiusa nel 2002 e in cui la gara d’appalto per la bonifica degli arenili è stata aggiudicata solo lo scorso maggio, è comprensibile che ci si voglia tenere la fabbrica che c’è.

Eppure, le esperienze di riqualificazione industriale, fatte sul serio e in profondità, non mancano. A cominciare dall’Europa e dal paese più industrializzato di tutti, la Germania, dove negli anni Ottanta è stato messo a punto il piano di riconversione dell’area della Ruhr, la storica regione che ha miscelato enormi bacini minerari e impianti siderurgici e che ha dato risultati di rilievo nonostante la Germania, con oltre 44 milioni di tonnellate, sia il primo produttore europeo dell’acciaio.

Il piano della Ruhr è stato stato davvero imponente dovendosi occupare di circa 6000 ettari di aree industriali dismesse, una dimensione pari al 70 per cento delle aree abbandonate della Germania dell’Est. Il processo ha visto l’intervento diretto dello Stato e delle autorità locali con una serie di finanziamenti straordinari, ma soprattutto con l’attivazione dei fondi europei e di sviluppo regionale con un costo complessivo superiore ai 2 miliardi di euro.

Oggi, a Dortmund i minatori sono scomparsi, ma la città ha una grande vitalità essendo divenuta capitale europea della cultura nel 2010. La cokeria, uno dei luoghi di produzione siderurgica più inquinanti, dismessa nel 1992, è stata trasformata in un percorso museale così come è stato allestito il museo della birreria accanto al teatro dell’opera, della prosa, ai musei Ostwall e Adleturm.

Un’altra città industriale, Duisburg, è stata il principale porto per il trasporto del carbone e dell’acciaio della Ruhr. Ora ha un grande parco naturale nella parte nord dove la sera i vecchi altiforni vengono illuminati da luci al neon mentre il club alpino tedesco ha trasformato il vecchio bunker che fungeva da magazzino per il ferro in una parete per arrampicate. L’ex gasometro dal diametro di 45 metri, invece, è stato riempito d’acqua diventando il più grande sito artificiale sottomarino d’Europa che ora viene esplorato da centinaia di sub.

Anche Bilbao era sommersa dai fumi e dall’inquinamento delle officine metallurgiche e dei cantieri navali. Ma mentre si esaurivano le miniere di ferro e la cantieristica navale emigrava nell’est asiatico, nel 1997 è stato aperto il museo Guggenheim che nel primo anno di attività ha attirato 100 mila visitatori l’anno. Oggi sono diventati un milione. A voler ripetere “l’effetto Bilbao” è la città di Metz, in Francia, capitale di quella Lorena mineraria storicamente contesa dalla Germania. Qui, il Centre Pompidou, primo esempio di “decentralizzazione” museale – la casa madre resta infatti a Parigi – al secondo anno di vita ha festeggiato i 600mila visitatori e costituisce l’ipotesi per ridare vita, tramite l’arte e il turismo, a una città devastata dalla crisi economica.

Ma l’esempio più riuscito è forse quello di Pittsburgh, negli Stati Uniti, centro industriale dal 1850 al 1980 quando l’industria pesante entra in crisi. Le grandi industrie vengono così riconvertite in produzione per la robotica, la biomedicina, l’ingegneria nucleare, la finanza e i servizi. Tutto questo produce un giro di affari di circa 11 miliardi di dollari. Pittsburgh è ora la sede di Google mentre il Pittsburgh Medical Center dà lavoro a oltre 48.000 persone. Gli occupati degli istituti di medicina occupano circa 116’000, il 10 per cento di tutta la forza lavoro. E nel 2009 la città ha organizzato il G20.

Il Fatto Quotidiano, 10 Agosto 2012

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