Solo una settimana fa il Pd minacciava la crisi di governo sulla legge elettorale, adesso i “rumors” del Parlamento parlano di accordo possibile e questa settimana si capirà davvero, forse in modo definitivo, se a settembre potremo dire addio al Porcellum. Sempre che, poi, non si finisca dalla padella nella brace. E’ dunque una settimana clou, quella che si apre, per il futuro dell’accordo politico che dovrebbe portare a voltare pagina. Persino quel Bersani furioso di qualche giorno fa, prima del fine settimana si è mostrato ottimista sull’accordo, ha parlato di possibili “novità” nei prossimi giorni.

Martedì sarà la giornata del chiarimento. Si riunirà il gruppo di lavoro che al Senato si occupa della materia, il comitato ristretto della Commissione Affari Costituzionali, ma il relatore Pd Enzo Bianco non sarà presente. Quello che sembra certo è che il Pdl non tenterà di forzare facendo asse con la Lega, come aveva minacciato una settimana fa. In realtà, come spiega più di un senatore Pd, quella mossa del Pdl sembra sia stata decisa da Silvio Berlusconi con un unico vero obiettivo: impedire un primo voto della riforma elettorale prima dell’estate per scongiurare l’ipotesi di elezioni a novembre che Mario Monti e Giorgio Napolitano avevano valutato come alternativa possibile ad uno stallo del governo rispetto alle riforme e alle “risposte” da dare all’Europa in caso di una fiammata speculativa agostana sui mercati.

Ora che l’ipotesi delle urne sembra allontanarsi (ma non in modo definitivo, ci tiene a riferire qualche ben informato sulle idee del Colle in merito alla questione), i passi avanti, per quanto timidi, si intravedono. La riforma elettorale è fondamentale nel progetto del voto (anticipato o a scadenza che sia), perché serve una normativa che, come ripete spesso Pier Ferdinando Casini, permetta di andare ad elezioni non con la classica contrapposizione centrodestra-centrosinistra, ma con uno schieramento di “responsabilità nazionale”, qualcosa di simile all’attuale larga coalizione, ma magari senza l’ala dura del Pdl.

Berlusconi, secondo la ricostruzione del Pd, si sarebbe mosso per impedire la riforma in tempi brevi proprio per evitare di essere tagliato fuori. Di sicuro, il Pdl non parla più di “voto a maggioranza” e, anzi, i contatti tra gli “ambasciatori” dei partiti di maggioranza hanno delineato il quadro di un possibile compromesso. Il problema sarà vedere il “livello del compromesso” che si dovesse riuscire a raggiungere. Lo scambio di cui si parla da giorni e che questa prossima riunione di martedì dovrà tentare, in qualche modo, di sciogliere, è quello tra preferenze e premio di maggioranza: il Pd dovrebbe accettare un premio riservato solo al primo partito e non anche alla coalizione, mentre il Pdl dovrebbe rinunciare alle preferenze.

Bianco si era addirittura lasciato andare ad una dichiarazione ottimistica, dicendo che avrebbe invitato Gaetano Quagliariello a Salina, dove il senatore Pd è in vacanza, per chiudere l’accordo “davanti ad una granita”. L’ipotesi ha subito provocato la reazione del presidente del Senato Renato Schifani: “Auspico la massima condivisione ma questa potrà realizzarsi solo se i parlamentari avranno la certezza che l’intesa verrà trovata nella casa degli italiani e non nelle singole stanze private”. Poco dopo Quagliariello ha precisato che lui passerà l’estate nel suo trullo in Puglia, e Bianco ha chiarito che la sua era “solo una battuta”. Di fatto i “dettagli” da chiarire non sono affatto marginali; il premio riservato solo al primo partito, per esempio, creerebbe dei problemi a Pd e Sel, che hanno anche valutato l’ipotesi di una lista unica per aggirare la norma che non riconosce la coalizione.

Un progetto che però non è di facile realizzazione. In alternativa, i democratici propongono una doppia possibilità: premio al primo partito o alla coalizione che supera il 40%. Ipotesi ritenuta troppo favorevole al Pd dagli altri pariti. Inoltre, l’entità del premio è un altro capitolo spinoso: il Pdl parla del 10%, il Pd suggerisce il 15%. Anche in questo caso, la differenza non è da poco: un premio del 15% darebbe ottime chance a Bersani di puntare a palazzo Chigi (i sondaggi danno il solo Pd al 26-27%), mentre uno del 10% renderebbe più probabili le larghe intese. Senza contare che gli ex An non vogliono rinunciare alle preferenze. Insomma, la matassa appare ancora fortemente ingarbugliata, così come le pressioni si fanno, però, molto pesanti con il passare delle settimane.

Qualora si riuscisse ad arrivare ad un compromesso, è più che probabile che a settembre ci sarà la stretta finale sulla legge. E questo, però, non dovrebbe portare ad elezioni anticipate, anche se, nella realtà dei fatti, la vera “fretta” di cambiare la legge elettorale non è stata determinata, come ha detto Mario Monti, dalla necessità di dare un segnale ai mercati “ballerini”, quanto per lasciare al Quirinale (e anche a lui, perché no) mani libere sulla decisione del quando andare a votare; senza aver superato il Porcellum, ovviamente, il percorso appare precluso. Berlusconi questo lo sa bene e gioca di fioretto per portare gli attori della partita sul suo terreno di gioco.

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