Un uomo solo. È come si definisce l’ex ministro Nicola Mancino parlando al telefono con il magistrato Loris D’Ambrosio, uno dei principali consiglieri di Giorgio Napolitano. Il 9 dicembre del 2011, dopo il suo interrogatorio davanti la procura di Palermo, Mancino è spaventato. Ancora non lo sa, ma i magistrati coordinati da Antonio Ingroia hanno messo sotto controllo il suo telefono. E registrano lo sfogo dell’ex ministro dell’Interno con D’Ambrosio. “Un uomo solo va protetto” dice Mancino, perché se questo uomo solo rimane tale “potrebbe chiamare in causa altre persone”.

È proprio per questo che oggi l’ex ministro dell’Interno Nicola Mancino è accusato di falsa testimonianza nell’indagine sulla trattativa, il patto segreto tra pezzi delle istituzioni e Cosa Nostra nel periodo 1992-93. Secondo gl’inquirenti Mancino avrebbe detto il falso con l’obbiettivo di assicurare l’impunità anche ad alti esponenti delle istituzioni. “Non ho parlato di Gava” dice al telefono parlando con la moglie subito dopo l’interrogatorio del 9 dicembre scorso. Cosa ci fosse da tacere intorno all’esponente della Dc Antonio Gava resta oggi un interrogativo importante per i magistrati palermitani. “Cerchiamo di evitare il coinvolgimento di Scalfaro” chiede invece Mancino a D’Ambrosio. Secondo i magistrati siciliani, l’ex presidente Oscar Luigi Scalfaro fu in qualche modo “influenzato” dall’allora capo della polizia Vincenzo Parisi, che nella ricostruzione degl’inquirenti sarebbe stato uno dei registi della trattativa con Cosa Nostra.

Per cercare di mettere in collegamento le ricostruzioni dei vari esponenti politici dell’epoca gl’inquirenti avevano chiesto nei mesi scorsi un confronto tra l’ex guardasigilli Claudio Martelli e lo stesso Mancino. Colloquio che l’ex vicepresidente del Csm ha cercato in tutti i modi di evitare appellandosi segretamente ad un intervento diretto del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Alla fine però il confronto si è fatto ed è emersa un’insanabile discrepanza tra i racconti di Martelli e quelli di Mancino. Il nodo è rappresentato da un incontro tra i due ministri ai primi di luglio del 1992. L’ex numero due di Bettino Craxi ha raccontato che in quell’incontro si sarebbe lamentato per le attività non autorizzate del Ros. Secondo la procura palermitana, proprio in quei giorni il generale Mario Mori e il suo braccio destro Giuseppe De Donno incontravano in segreto don Vito Ciancimino.

Mancino però ha negato nettamente che quei colloqui tra il Ros e Ciancimino siano stati oggetti di discussione con Martelli: “Abbiamo parlato di altro e in particolare dell’opportunità di lavorare in sintonia”. I magistrati però non gli hanno creduto iscrivendolo nel registro degli indagati per falsa testimonianza. E non hanno creduto neanche al suo collega Giovanni Conso, iscritto nei giorni scorsi nel registro degli indagati per false informazioni al pm, lo stesso reato contestato ad altri elementi di spicco delle istituzioni.

Oltre all’ex guardasigilli, la procura di Palermo ha indagato nei giorni scorsi anche l’ex capo dell’amministrazione penitenziaria Adalberto Capriotti e l’esponente democristiano Giuseppe Gargani (l’interlocutore di Calogero Mannino nella conversazione sulla trattativa rivelata da Il Fatto Quotidiano). Secondo Martelli, quest’ultimo gli avrebbe confidato che “Scotti era stato sostituito perché all’interno della Democrazia cristiana c’era un evidente fastidio per l’azione antimafia svolta da Scotti”. Il posto di Scotti ai vertici del Viminale fu preso proprio da Mancino. Che nel marzo scorso telefonò personalmente al procuratore generale della Cassazione Vitaliano Esposito. L’ermellino aveva appena chiesto le carte dell’indagine sulla strage di via d’Amelio alla procura di Caltanissetta, finendo su tutti i giornali. Mancino volle quindi complimentarsi di persona per quell’iniziativa “in favore dei politici”.

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