Fossi stato un katanga della Statale nel movimento studentesco degli anni ‘70, ci sarei andato anch’io a lanciare le pietre alle vetrine del Corriere e maledire il suo giornalista più rappresentativo. Mi facevano rabbia e schifo i suoi trascorsi fascisti, la collaborazione con l’odiato Borghese, le sue posizioni sul colonialismo, sulle case chiuse, sul disastro del Vajont, tanto per citarne alcune.

Insomma, Montanelli era per me quello che più di altri si esponeva per la conservazione, mentre, che diamine, la rivoluzione era in corso. In casa dei miei giravano la Domenica del Corriere, i libri della storia d’Italia e qualche suo pamphlet: li leggevo e la mia rabbia cresceva perché la prosa era lucida e tagliente.

Ma eravamo manichei, passati armi e bagagli da una Chiesa ad un’altra e non si poteva neanche apprezzare lo stile del nemico. Quando Montanelli fu dimesso dal Corriere per fondare Il Giornale, non capivo perché i borghesi si facessero le scarpe fra di loro. Giudicai poco produttivo per il quotidiano ufficiale dei conservatori perdere una penna così efficace. Dopo aver letto Pasolini qualcosa iniziò a scricchiolare nelle mie incrollabili certezze.

I miei amici e compagni erano figli di quella borghesia che dicevamo di voler abbattere. Queste cose le scriveva anche Montanelli. Poi le BR. La follia della lotta armata. Fra gli altri, tanti giornalisti uccisi e feriti. Per Montanelli si creò il neologismo del gambizzato. Perché colpire i giornalisti? Giunsi alla laurea; quindi il lavoro, il matrimonio, i figli. Mi capitò sotto mano quell’intervista di Montanelli nella quale parlava di Mussolini come del Grande Babbo: roba da toscanacci. Spiegava come fosse stato fascista perché gli piaceva mettersi in divisa. Di come fossero stati stupidi e bellissimi i suoi vent’anni. Non potevo non fare una considerazione personale. Quella delle fasi della vita nelle quali alla piromania giovanile, normalmente segue il tifo per i Vigili del Fuoco. Chi non è stupido a vent’anni è uno senza cuore.

Ho lentamente preso a leggere i suoi pezzi, ad apprezzare la sua visione delle cose, mai convenzionale. Consapevole di essere un grandissimo giornalista, narciso quanto è necessario per essere inarrivabile. Col senno del poi ho riletto le sue posizioni passate. Alcune le ho trovate ancora inaccettabili, ma su molte altre ho maturato sorprendenti riflessioni, anche su quella borghesia industriosa, operosa ed onesta che lui non si stancava mai di sferzare affinché si assumesse le proprie responsabilità. Berlusconi non poteva piacergli né come imprenditore, tantomeno come politico perché dell’uomo aveva ben chiaro lo spessore. Da ultimo leggevo anche le risposte che dava ai lettori del Corriere: Caro Brambilla. Poi la stoccata, mai banale. Tempo fa ho aperto la pagina facebook pubblica di mio figlio 24enne, laureando in medicina. Ho scoperto che è un fan di Montanelli, l’ha seguito da ragazzetto in televisione nelle ultime conversazioni, ha letto molto di lui. Ho apprezzato.

Riccardo Norberti