Soltanto un giornalista, sì, ma il migliore. Mentirei dicendo che ricordo il giorno della sua morte, occasione che da un po’ di tempo a questa parte è utile per dire tutto di bene di chiunque; e mentirei dicendo di aver seguito i suoi ultimi interventi sul panorama dell’informazione. Ma Indro Montanelli, per un ragazzo diciottenne che legge quello che vuole sui giornali e progetta confusamente un suo futuro sulle pagine di un quotidiano, è e rimarrà per sempre un modello. Un esempio irraggiungibile di voce schietta che ancora tanto avrebbe da dire e tanto ancora servirebbe agli italiani. Un padre di questo imprevedibile mestiere, che sembra scegliere e indirizzare i suoi adepti più taglienti e incisivi. Un fascista, un comunista, un pedofilo per chi ha tentato continuamente di imbavagliarlo; un grande uomo seduto sui libri, con una macchina da scrivere sulle ginocchia per me che guardo qualche sua foto.

Montanelli c’è sempre stato, così è quasi facile parlare della sua figura nel giornalismo italiano; professione, o arte, alla quale si sentiva condannato. Si diploma con una tesi sulla riforma elettorale del fascismo, cioè sull’abolizione delle elezioni. Poi incontra Mussolini; va a Parigi e in America, vive la guerra d’Etiopia e la guerra civile in Spagna; è condannato a morte perché anti-fascista ma gambizzato dalle Brigate Rosse; firma storica del Corriere della sera, fonda Il Giornale da cui scappa perché incapace di dipendere da qualcuno. Poteva, scrivendo una biografia, parlare in realtà della storia italiana ed europea dell’ultimo secolo, avendola vissuta in prima linea ma sempre indipendentemente da qualsiasi schieramento, arrivando a rifiutare persino la nomina senatore a vita. Il suo pensiero, vivacemente anticonformista, se doveva avere un padrone, si rassegnava solo al lettore, alla chiarezza considerata una virtù. L’imparzialità era cosa lontana dall’oggettività, così come scegliersi un giornale doveva essere ben diverso dallo scegliersi un partito. Dopo aver incontrato Pirandello e Nitti, intervistato Churchill, De Gaulle, e intellettuali e politici, l’anarchico-conservatore si spense il 22 luglio 2001. Il giornalista più puro della storia mediatica italiana si era scritto da solo il necrologio: “Non sono gradite né cerimonie religiose, né commemorazioni civili.” Se passate da Milano, andate a vedere la sua statua, quella che lo ricorda con la sua Lettera 22; fate un salto ai Giardini Pubblici di Porta Venezia. Se potete, ma non importa.

 

Giancarlo La Rocca