Così è, se vi pare. Jean Paul Sartre diceva che il “calcio è una metafora della vita”. E aveva ragione, perché nel calcio, come nella vita, non c’è solo l’apparenza di tribalismi da tubo catodico. Oltre la querelle sull’antisportività di Gigi Buffon, Scommessopoli e l’amnistia ipotizzata dal PM dell’inchiesta di Cremona per i mariuoli delle truffe, il pallone ha facce più nobili, sommerse e nascoste.

Lo si è capito ieri a Roma nel Festival Nazionale della Cultura del Calcio, coagulo sperimentale di cultori della sfera cuoiata, immersi tra tifo, passione, poesia e letteratura. Un football think thank da terzo millennio, figli dell’Eupalla di Gianni Brera, di quell’elemento fondamentale della nostra cultura contemporanea, così tanto caro a Thomas Stearns Eliot.

Un altro calcio esiste, la nuova via è stata tracciata. “Il calcio è tutt’ora in grado di opporsi al pallone geneticamente modificato, di portare l’uomo al centro del football, eludendo schemi, strategie e marketing – sostiene Darwin Pastorin, ieri in collegamento da Torino – Il calcio, dunque, come movimento letterario e politico, come momento di rifiuto della normalità, del conformismo”.

Football&Novecento, reading letterario interpretato da una valida compagnia di artisti siciliani, ha ripercorso alcune tappe del secolo breve nelle imprese sportive di Spartak Mosca, Ungheria del mito Puskas e Argentina ’78. Il calcio raccontato nel ‘900 è un esperimento ben riuscito, anche per gli studenti dell’Università di Roma Tor Vergata, presenti alla kermesse per scoprire che dopo aver calciato palloni sulla Piazza Rossa nel 1936, i quattro fratelli Starostin vennero catturati e torturati dalla repressione staliniana, senza però arrendersi, perché “tutto è perduto, fuorché l’onore”. E poi il dramma dei desaparecidos argentini, quando Diego Armando Maradona non era ancora ‘El pibe de oro‘, ma la celeste salì lo stesso sul trono più prestigioso del mondo, alzando la coppa al cielo. Il regime di Jorge Videla sfruttò propagandisticamente la vetrina dell’impresa, nascondendo sequestri e uccisioni indiscriminate, fuori lo stadio Monumental di Buenos Aires, a Plaza de Mayo.

E’ poi toccato al Primo Premio di Letteratura Calcistica Gabriele Sandri, rassegna più unica che rara in un mondo (come quello del calcio) dove accozzaglie alla Il processo del Lunedì privilegiano (da sempre) isterismo fazioso e chiacchere da bar. Nella sezione opere inedite, s’è distinta la denuncia di un giovane scrittore. L’esordiente Paolo Montaldo, abbinando gli eventi di una partita di calcio tra ragazzi alla crudeltà delle mine antiuomo in un paese diviso da guerra e fame, ha fatto capire che il football può ricoprire un ruolo sociale più rilevante di dove invece, facili etichette, l’hanno volutamente confinato. Per interessi di parte, di pochi (e di portafogli).

Calcio e cultura, insieme si può.

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