Mentre il frastuono di una delle edizioni più sguaiate e sbilenche del Festival si fa eco lontana, se n’è andato Renato Dulbecco: scienziato, padre della mappa del genoma, premio Nobel, ex partigiano, gentiluomo soprattutto. Entrò nel salotto degli italiani nel 1999, in punta di piedi, quando condusse Sanremo accanto a Fabio Fazio con una grazia che oggi si può solo rimpiangere. La scelta di Fazio non fu capita subito: il professore fu accolto da una perplessità diffidente, forse figlia del pregiudizio che vuole gli uomini di cultura per forza noiosi.

Il giorno in cui fu annunciato “Dulbecco al Festival”, nessuno ci credeva. Tutti scettici, straniti, increduli. “Mi telefonò due volte Lamberto Sposini, che allora era al Tg 1”, racconta Fazio. “Era sicuro che fosse una notizia falsa. Mi disse: ‘ Ma è chiaro che è uno scherzo, dai piantala’”. Invece era vero. Il Festival ebbe ascolti stellari: oltre il 62 per cento di share la prima e l’ultima sera.

Dulbecco – la classe non è acqua–  si presentò con una frase di Galileo: “Sono venuto qui per fare esperienze”. Su quel palco ci fu l’incontro storico con un altro Nobel, Michail Gorbaciov e un ballo con Laetitia Casta, sulle note de La vie en rose. Qualche mese dopo disse: “È stata un’esperienza molto interessante. Dopo il Festival sento molta musica contemporanea e qualche canzone in più di quanto facessi prima e ogni tanto riascolto il disco del Festival che ho presentato, mi piacciono quelle canzoni”. Vinsero Anna Oxa e Alex Britti tra i giovani, Gianni Morandi si esibì tra i super ospiti, Teo Teocoli si presentò in mutande nell’indimenticabile imitazione del sindaco di Milano, Gabriele Albertini.

Dulbecco ci andò perché voleva far conoscere Telethon e decise di devolvere il suo cachet a favore del rientro in Italia degli scienziati andati a studiare e lavorare all’estero. Di questa iniziativa resta oggi traccia nel progetto “Carriere Dulbecco” promosso appunto da Telethon. Racconta Fabio Fazio che l’idea di chiamare un Nobel gli venne un giorno, guidando in direzione Langhe: “Pensai che Sanremo è il capodanno della televisione. E quindi è di tutti e tutti avrebbero dovuto presentarlo. Infatti da quella scala scesero postini, poeti e calciatori. Però si doveva cominciare da un grande personaggio. Allora mi venne in mente un premio Nobel, perché no?”. Era il primo Festival in cui si tentava di rompere lo schema “presentatore più valletta bionda e valletta bruna”. Così all’Ariston arrivò un 85enne a presentare canzoni.

“Cercammo a lungo una definizione per presentarlo”, racconta Fazio. “Alla fine, l’aggettivo che ci parve più adatto fu coraggioso”. “Il coraggio era una sua caratteristica: da quando in gioventù decise di studiare medicina; negli anni della guerra partigiana; quando scelse di trasferirsi negli Stati Uniti; nel tipo di ricerca che ha portato avanti. Quel coraggio, anche se su scala infinitamente più ridotta, riguardò anche il suo sì a Sanremo. Non aveva pregiudizi, era un uomo libero. E la libertà intellettuale, il coraggio, la lucidità sono il viatico della scienza, producono le visioni fuori dal comune di chi arriva a qualche scoperta”. Ci s’immagina l’imbarazzo di Fazio quando andò a chiedere una cosa tanto stravagante a un professore tanto illustre.

“Andai da lui con Pietro Galeotti. Io pensavo ‘giochiamo a chi conduce il Festival di Sanremo. Chiediamolo a tutti’. Per il ‘tutti’ funziona se cominciamo con il più grande. Un giorno andiamo a casa del professor Dulbecco, a Milano. Avevo pensato di chiedergli la partecipazione a una serata. Poi quando sono stato lì ho osato: gli ho chiesto di presentare con me. Silenzio. Io ero molto intimorito. Sai, quando sei lì pensi di tutto, compreso che ti stia per sparare un neutrino. Poi lui prende l’agenda e mi fa: sì sì, a fine febbraio dovrei essere libero”. Tutto liscio? Non proprio. “Mentre stavamo uscendo, mi raggiunse: ‘ Aspetti un momento’. Ero sulla porta, io e lui come nei film. Credevo ci avesse ripensato. Invece no, voleva chiedermi un’altra cosa: ‘ Lei pensa che lo smoking andrà bene? ’. Ha attraversato con levità quella macchina infernale, sempre sorridendo, divertendosi. La perfezione assoluta. Tra tutte le esperienze della mia vita professionale è stata la più clamorosa”.

Il Fatto Quotidiano, 21 Febbraio 2012

(Foto: LaPresse)

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